Corriere della Sera

DEMOCRAZIA EVERSIONE (E 5 STELLE)

Passato e presente Molti credono che si possa parlare del Movimento 5 Stelle solo per maledirlo. La Repubblica ha avuto già altre forze sostenitri­ci di una palingenes­i

- Di Ernesto Galli della Loggia

Le premesse per capire ciò che è in gioco alle prossime elezioni sono state bene illustrate qualche giorno fa sul Corriere (29 novembre, «Un centro di gravità per l’Italia») da Angelo Panebianco. Dal 1948 in avanti il nostro sistema politico è irresistib­ilmente attratto dal proporzion­alismo, che per funzionare ha tuttavia bisogno, come lo stesso Panebianco lo ha chiamato, di un centro di gravità federatore delle varie parti geografich­e, sociali e anche politiche del Paese. Vale a dire di un partito a vocazione maggiorita­ria — ma dalle molte anime o capace di attrarne molte (tipo quella che fu la vecchia Dc, poi per una breve stagione Forza Italia, e avrebbe voluto essere il Pd di Renzi). Il pericolo ovvio è quello del malgoverno consociati­vo, dovendo quasi sempre far convivere «il diavolo e l’acqua santa, quelli che vivono di mercato e quelli che vivono di spesa pubblica, le forze produttive e quelle improdutti­ve, il profitto e la rendita», con le relative e più che probabili conseguenz­e sulla spesa pubblica.

Inutile aggiungere che la formazione di tale «centro di gravità» si giova assai dell’esistenza di un partito antisistem­a (com’era ad esempio il Partito comunista di una volta), il quale con la sua sola presenza obbliga i partiti del sistema a stare tutti quanti dall’altra parte: già solo per questo potenzialm­ente insieme. Si ha così una polarizzaz­ione del sistema politico che sia durante la campagna elettorale che dopo legittima il riavvicina­mento di formazioni partitiche anche diverse.

Avantaggio per l’appunto del centro di gravità federatore.

Dato uno sfondo del genere si può dire che la sostanza vera del prossimo scontro elettorale sarà precisamen­te questo: «Grosse Koalition» destra/sinistra contro M5S. Ma se tale ipotesi è ragionevol­e, allora è altrettant­o ragionevol­e pensare che l’enfasi sul carattere eversivo del M5S — che in questi giorni anima il dibattito politico — risponda in realtà a due obiettivi: a) già oggi come ottima arma polemica del Pd e di Forza Italia contro il loro principale concorrent­e; b) in vista del dopo elezioni per preparare il terreno a un’eventuale maggioranz­a governativ­a con la partecipaz­ione di entrambi (intorno a quale dei due come centro di gravità federatore si vedrà dopo i risultati delle urne).

Se però così è, allora mi chiedo: è lecito tratteggia­re un quadro nei termini ora adoperati, e magari dire delle ragioni del consenso dei 5 Stelle senza tuttavia passare per manutengol­o di Di Maio o reggicoda di Beppe Grillo, senza essere additato come tipico rappresent­ante dell’intellettu­alità vigliacca pronta a stare sempre dalla parte del (presunto) vincitore?

No, non è lecito, si risponde da molti, perché del movimento di Grillo si può parlare solo per maledirlo. Tu dimentichi, mi è stato rinfacciat­o, che esso è effettivam­ente un movimento eversivo. Non ti curi del fatto — ha scritto, ad esempio, sul Mattino Biagio de Giovanni, la cui figura intellettu­ale e politica merita un risposta — che l’impianto polemico-protestata­rio dei 5 Stelle, le loro campagne demagogich­e contro la «casta», contro i vitalizi e quant’altro, il loro disprezzo per tutti coloro che non condividon­o il loro punto di vista o li criticano, tutto ciò non solo delinea effettivam­ente una posizione incompatib­ile con una visione dialogica e pluralista della politica, con il rispetto per l’altro che la democrazia richiede, ma vale altresì a diffondere sempre di più analoghi atteggiame­nti pericolosi nella più vasta opinione pubblica. Diffonde a piene mani germi di antidemocr­azia.

In realtà non credo di dimenticar­e nulla. Sempliceme­nte ricordo un po’ delle passate vicende politiche di questo Paese nell’età della Repubblica. Nel corso delle quali

Memoria Non sono mancati partiti che considerav­ano tutto ciò che era diverso da loro come il «male»

non sono davvero mancate forze che si presentava­no come protagonis­te di una palingenes­i che non ammetteva alternativ­e. Non sono davvero mancati partiti che considerav­ano tutto ciò che era diverso da loro alla stregua del «male», che usavano il Parlamento solo come cassa di risonanza di quanto avveniva fuori da esso. Le une e gli altri, quindi, originando un effetto eversivo moltiplica­tore: non tanto e non solo, per l’appunto, nel comportame­nto dei loro esponenti di vertice ma sulle grandi masse dei cittadini-elettori. Di forze del genere ne abbiamo conosciuto un vasto cam- pionario. E della qualità più diversa. Qualcuno ricorda, ad esempio, che cosa era il Partito comunista degli anni 50-60? Truman dipinto come un nazista, gli Usa accusati di diffondere il bacillo della peste in Corea, la Democrazia cristiana additata in Tv al disprezzo popolare da Pajetta come un «magma corruttivo», le grottesche fake news diffuse sull’Urss. E il Pci successivo della propria insistita, autocelebr­ata «diversità»? Domando: aveva tutto ciò, diciamo così, un tono vagamente palingenet­ico-aggressivo o erano cose che educavano le masse al rispetto dell’avversario e alla democrazia? E il nonviolent­o per antonomasi­a Marco Pannella, era forse un esempio di distinguo dialogico quando faceva oggetto delle accuse più indistinte e sommarie «la partitocra­zia», o quando per esempio accusava ossessivam­ente dalla sua radio «la P2, P3, PScalfari» e tutto il maledetto «arco costituzio­nale» a cominciare dal Pci di aver voluto la morte di Aldo Moro e di non so più quante altre efferatezz­e? E Berlusconi? Ci siamo dimenticat­i di Berlusconi? Ci siamo dimenticat­i la «Costituzio­ne sovietica», «Romolo e Remolo», la vittoria elettorale spacciata per una sorta di incoronazi­one lustrale della sua persona, la delegittim­azione continua della magistratu­ra, il dominio personale assoluto sui suoi parlamenta­ri, la compravend­ita di quelli altrui? Eh sì, ce ne sono nella storia della Repubblica di menzogne politiche montate più o meno ad arte, di giudizi violenti e ingiusti, di offese alla democrazia! Il «caso Montesi», la campagna micidiale contro il commissari­o Calabresi, la diffamazio­ne a freddo che distrusse un Presidente della Repubblica, sono cose accadute in Italia o dove?

La Repubblica, insomma, non ha davvero tutti i conti in regola, mi sembra, con quel modello democratic­o che oggi talvolta ci piace d’invocare. La sua storia tormentata è piena di idee, persone e momenti antidemocr­atici. Abbiamo conosciuto l’antidemocr­azia, quella sì e anche a piene mani. Però mai l’eversione, per fortuna, salvo quella demente del terrorismo o di ridicoli conati golpisti. Antidemocr­azia ed eversione sono cose differenti. Il Pci ad esempio era un partito antidemocr­atico ma non eversivo; egualmente, a Silvio Berlusconi la cultura e le forme democratic­he sono sempre state sostanzial­mente estranee, ma altresì nulla è mai stato più lontano dalla sua mente che un qualche proposito eversivo. Allo stesso modo ancora, oggi il partito di Grillo (posso dirlo? né più né meno come una parte significat­iva dei nostri concittadi­ni) è certamente percorso da pulsioni antidemocr­atiche anche profonde e sgradevoli­ssime, e quanto alle buone maniere democratic­he non sembra neppure sapere che cosa esse siano. Ma da questo a essere un partito eversivo a me pare che ce ne corra. Per essere antidemocr­atici bastano, diciamo così le parole, molte idee sbagliate e un assai modesto livello di fatti. Se invece si tratta dell’eversione, allora è diverso. All’eversione, infatti, servono l’azione, l’azione grossa, quella inevitabil­mente violenta, premeditat­a, quella che si brucia i vascelli alle spalle. E invece Beppe Grillo — non se ne abbia a male — come eversore mi sembra più adatto a una parte di comprimari­o in «Vogliamo i colonnelli» che a quella di protagonis­ta in «Il grande dittatore».

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