Coppi e il cane: l’ho chiamato Rocky Ghedini
L’avvocato: parlo con il mio cane, me l’ha regalato Ghedini
«Itribunali? Gabbie di matti». Franco Coppi, 79 anni, ha passato gran parte della sua vita professionale in Cassazione. «Ho più di 200 cravatte, ma durante il processo in difesa della Juve ne ho messa una giallorossa».
«Buongiorno professore». «Ossequi». «Carissimo prof, permette un saluto?». «I miei omaggi, avvocato». Più che un’intervista è uno slalom fra ammiratori. Franco Coppi, fra i più stimati e autorevoli avvocati italiani, è a casa sua, in Cassazione, e qui non c’è collega, giudice, cancelliere, usciere che non lo conosca. Anche perché dei suoi 79 anni ha passato più tempo in questo palazzo che in qualsiasi altro posto. E oggi è il re dei cassazionisti. Un’istituzione.
Prof, non le danno tregua con le riverenze. Come fa a dar retta a tutti?
«Io sono un noto chiacchierone e poi sarebbe disonesto dire che non fa piacere sentirsi apprezzati o vedere che i colleghi ti dimostrano considerazione e simpatia. Anche se, le confesso, avrei una voglia di smettere...»
Non dica così o farà venire un infarto ai suoi assistiti.
«Ma sì, invece. In questi ultimi anni ho sentito sulla mia pelle l’ingiustizia di alcune decisioni che sono diventate un peso insopportabile».
Neanche glielo chiedo. So che sta parlando di Sabrina Misseri e del suo ergastolo per l’omicidio di Avetrana.
«Esatto, non mi stancherò mai di ripetere che la sua è una pena ingiusta, mostruosa. Sapere di non essere riuscito a dimostrare la sua innocenza non mi fa dormire la notte».
Sta criticando una sentenza definitiva.
«E perché no? Chi lo dice che non si debba fare? Se la ritengo non giusta posso criticarla eccome! Quella condanna mi ha segnato così profondamente che ho pensato davvero di abbandonare la professione».
Cosa le ha fatto cambiare idea?
«Il senso di responsabilità verso i colleghi dello