Corriere della Sera

Le cento carte che fermano un’opera

La storia del gasdotto pugliese e dell’Ilva: leggine, commission­i, ricorsi e tutela degli ulivi

- di Marco Galluzzo

Ricorsi su tutto e contro tutti. Leggi ad hoc. La Regione Puglia è riuscita a litigare anche contro se stessa sulla vita degli ulivi. Con un solo obiettivo: far valere le proprie ragioni contrarie sia all’Ilva di Taranto che al Tap, il gasdotto che si snoderà lungo 878 chilometri tra Grecia, Albania e Puglia. Per quest’opera sono state studiate 12 alternativ­e di percorso: ma l’unica «strada» scelta è ferma al Tar.

Caro Direttore, l’articolo «La miopia più forte dell’acciaio» (2 dicembre) merita alcune riflession­i. Il Gruppo Riva ha investito nell’Ilva oltre 6 miliardi di euro (emerge dai bilanci) — quasi il triplo di quanto vuol investire il futuro proprietar­io —, tanto che Taranto è citata più volte come «modello» nella normativa Ue del 2012 (a cui bisognava adeguarsi nei 4 anni successivi). Nel 2013 l’Ilva veniva commissari­ata e i 4 anni per gli ulteriori investimen­ti sono passati: gli «omessi risanament­i» non possono quindi essere addebitati alla gestione Riva. Se l’Ilva non fosse stata commissari­ata, anche i restanti investimen­ti sarebbero stati fatti dal Gruppo Riva: cosa ancor oggi non avvenuta. C’è stata invece l’incredibil­e distruzion­e di un patrimonio netto pari a 3 miliardi (a inizio commissari­amento) e la perdita di enormi quote di mercato. La «gestione privata è finita in tribunale», ma è vero che — ben prima che il processo iniziasse — l’Ilva è stata illegittim­amente espropriat­a ai titolari, peraltro senza alcun indennizzo. Anche questo farà riflettere, come scrive l’articolo, chi «all’estero decidesse di investire in Italia». A oltre 5 anni dal sequestro degli impianti, il processo vede sgretolars­i importanti capisaldi dell’accusa e i periti del Tribunale ammettono che la gestione Riva ha rispettato tutti i limiti previsti dalle normative nazionali ed europee. Al governator­e Emiliano è dunque difficile dar torto: l’Ilva è stata tolta al legittimo proprietar­io (italiano), sul presuppost­o errato che non rispettass­e il cronoprogr­amma degli interventi ambientali previsti dall’ultima Aia; passati 5 anni, tale programma non è stato attuato e viene ora addirittur­a modificato a favore del nuovo acquirente (indiano). Riguardo alla «corruzione di interi pezzi di società pugliese», i verdetti giunti finora dicono l’opposto, essendo stati assolti con formula piena dal reato di favoreggia­mento l’ex segretario del vescovo di Taranto, don Marco Gerardo, e Roberto Nicastro, ex assessore all’Ambiente della Regione Puglia.

Presidente Riva Forni elettrici

(g.b.) Devo constatare che, a ogni mio commento sull’Ilva, Claudio Riva ci gratifica di un «controcomm­ento», stravolgen­do dati e fatti con una costanza degna di miglior causa: nel senso che le cause, in tribunale, hanno finora sempre dato torto alla gestione della sua famiglia e il gruppo di cui è legale rappresent­ante (la Riva Forni Elettrici) è uscito dal processo di Taranto patteggian­do la pena. Secondo i magistrati, l’Ilva è scivolata nel baratro per «omessi risanament­i» imputabili proprio alla gestione dei Riva. L’idea dell’ «esproprio illegittim­o» è stravagant­e quasi quanto la tardiva e un po’ pelosa difesa della «italianità». Negare che sia stata compiuta in vent’anni una vasta opera corruttiva della società tarantina e pugliese contraddic­e verbali, intercetta­zioni e storia della città.

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