Gerusalemme e rifugiati, ultime sfide di Trump
Gli Stati Uniti boicottano il protocollo Onu sulle migrazioni: «Sui nostri confini vogliamo decidere noi» Il presidente verso il riconoscimento della Città Santa come capitale israeliana. I palestinesi: «Pace a rischio»
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
Lo strappo, l’ennesimo di questa presidenza, è atteso per martedì 4 dicembre. Donald Trump, secondo la Cnn, annuncerà il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele, status proclamato dal Parlamento dello Stato ebraico nel 1980, ma non accettato dalla comunità internazionale. Non è chiaro se questa decisione sarà accompagnata anche dallo spostamento dell’ambasciata da Tel Aviv alla Città Santa.
Il Dipartimento di Stato, secondo quanto riportato dalla Cnn, ha ricevuto istruzioni per proteggere le ambasciate Usa nelle «aree più sensibili»: si temono manifestazioni di protesta, anche violente subito dopo il discorso di Trump.
L’indiscrezione è stata presa molto seriamente dal mondo arabo, entrato in grande agitazione. Ieri il presidente dell’Autorità palestinese Mahmoud Abbas ha rilasciato una dichiarazione: «Qualsiasi passo degli americani relativo al riconoscimento di Gerusalemme capitale di Israele, o anche lo spostamento dell’ambasciata americana a Gerusalemme, rappresenta una minaccia per il futuro del processo di pace e sarebbe inaccettabile per i palestinesi, gli arabi e per il mondo intero». Il re di Giordania, Abdullah II, ha avviato le consultazioni per arrivare a una riunione di emergenza della Lega Araba e dell’Organizzazione della cooperazione islamica.
All’ora di pranzo di ieri, a Washington, Jared Kushner, genero del presidente, è intervenuto al «Saban forum». Il marito di Ivanka da mesi si propone come mediatore tra Israele e Autorità palestinese. Ha raccomandato cautela: «Il presidente si prepara a fare la sua scelta, ma sta ancora esaminando molti aspetti di fatti differenti».
È una decisione che investe tutta la politica estera dell’amministrazione, non solo il rapporto tra Stati Uniti e Medio Oriente. Anche l’Europa è in attesa. Da fonti diplomatiche risulta che gli americani non si siano consultati con nessuno. Se Trump dovesse procedere, sicuramente non troverebbe sponde nei principali Paesi Ue: Germania, Francia e Italia non sposteranno le loro ambasciate da Tel Aviv.
L’isolamento internazionale, però, non è un problema per «The Donald». Il presidente americano ha ritirato gli Usa dall’accordo sul «climate change» e proprio ieri l’ambasciatrice all’Onu, Nikki Haley ha annunciato che gli Usa non aderiranno al «Global Compact on Migration», il protocollo delle Nazioni Unite firmato nel 2016 da 193 Paesi. «Le decisioni sulle politiche migratorie devono essere prese dagli americani e solo dagli americani. Siamo noi a decidere come meglio controllare i nostri confini», ha spiegato Haley. Con l’avallo del Segretario di Stato, Rex Tillerson: «Non possiamo sostenere in buona fede un processo che metterebbe a rischio la sovranità degli Stati Uniti».
La «questione Gerusalemme» è una delle promesse elettorali di Trump, insieme con il Muro, la riduzione delle tasse, la cancellazione dell’Obamacare. Ma anche il rilancio del negoziato tra Abbas e il premier israeliano Benjamin Netanyahu fa parte dell’agenda. Kushner ha compiuto diverse missioni, le parti aspettano una proposta. Il tema della capitale dovrebbe essere il punto d’arrivo della trattativa, non di una controversa partenza.
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