Corriere della Sera

Pechino, se le ruspe spianano le case degli operai (poveri)

- DAL NOSTRO CORRISPOND­ENTE

Il braccio meccanico della ruspa ha appena finito di divorare una palazzina bassa. Da un idrante lanciano acqua sulle macerie, per abbattere anche la polvere. Sono veloci e scrupolosi i demolitori inviati dalla municipali­tà di Pechino. Siamo a Daxing, estrema periferia meridional­e della capitale della seconda economia del mondo, appena entrata nella Nuova Era di «prosperità armoniosa» proclamata da Xi Jinping. Qui vicino, la notte del 18 novembre, l’incendio di un edificio degradato dove vivevano ammassate decine di famiglie di lavoratori migranti ha ucciso 19 persone, compresi otto bambini. Sono seguiti i consueti arresti di funzionari che non avevano vigilato. Per motivi di sicurezza le autorità hanno ordinato una campagna di 40 giorni di «accertamen­ti e pulizia»: arrivano, osservano quello che tutti sapevano, cioè che i luoghi sono malsani e pericolosi e ordinano lo sgombero. Stanno cacciando la gente dalle stanze e dai seminterra­ti presi in affitto per pochi yuan, dalle botteghe, e subito dopo abbattono gli edifici. Sono decine di migliaia, forse già centomila quelli che sono finiti in strada in questi giorni di gelo.

A Daxing ora ci sono interi Sotto sfratto Una coppia costretta a lasciare la propria casa alla periferia di Pechino trasporta le proprie cose per la strada isolati rasi al suolo come dopo un bombardame­nto; nei vicoli spuntano sedie e tavoli sgangherat­i, tra lamiere e calcinacci. Gruppi di sfrattati in marcia come profughi di guerra portano via su carretti o trascinano dentro sacchi di tela tutto quello che è ancora utile, tutto quello che hanno. È l’esodo dei lavoratori migranti costretti a lasciare la capitale: la città che hanno aiutato a costruire negli ultimi trent’anni, che hanno trasformat­o in megalopoli globalizza­ta facendo i muratori, che puliscono raccoglien­do dalle strade per rivenderli i cartoni e la plastica, che sfamano con i loro banchetti ambulanti di cibi.

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