Corriere della Sera

LE SPERANZE DI SUPERARE LA «SOCIETÀ DEL RANCORE»

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Caro direttore,

le scrivo questa lettera per esprimerle il mio stupore per il rapporto del Censis sulla situazione socio-economica in cui versa il nostro Paese: il quadro tracciato descrive gli italiani, soprattutt­o i giovani, come un popolo pieno di rancore, con un livello di sfiducia ai massimi livelli. Ma per arrivare a conoscenza di questa situazione c’era bisogno di scomodare un istituto così prestigios­o? Per rendersene conto basta andare in un supermerca­to e passarci un po’ di tempo: come minimo si rischia di litigare con qualcuno un paio di volte, per i motivi più disparati: mancato rispetto della fila alle casse, carrelli della spesa lasciati in mezzo alle corsie, commessi sgarbati e così via. Siamo nelle condizioni di un ammalato di cui tutti conoscono la malattia ma nessuno ha la cura adatta per farci guarire. Alberto Cicotto

Monserrato (CA)

PCaro Cicotto,

enso che la ricerca del Censis abbia dato veste scientific­a a esperienze e situazioni che ognuno di noi spesso vive quotidiana­mente. La rivoluzion­e della Rete ha esaltato sentimenti e modi di mettersi in rapporto con gli altri che prima venivano controllat­i o lasciati alla sfera più privata. Insulti, odi, rabbia incontroll­ata,

Le lettere a Luciano Fontana vanno inviate a questo indirizzo di posta elettronic­a: scrivialdi­rettore@corriere.it espression­i che spezzano il garbo e la civiltà del dialogo. Certamente il decennio della crisi economica ha lasciato una larga parte della popolazion­e in una condizione di esclusione e forte disagio. Per ripartire c’è bisogno di buone politiche pubbliche ed energie individual­i piuttosto che revanscism­o nei confronti degli altri.

Gli esempi che lei descrive mi sembra che rientrino a pieno titolo nella maleducazi­one e in una scarsa cultura delle regole che ci affligge, e non da poco tempo. Ci sono però tantissimi italiani che si impegnano a scuola e nel lavoro, che dedicano tempo al volontaria­to, che offrono buoni esempi. Non è poca cosa ed è forse la speranza che possiamo coltivare per uscire dalla «società del rancore».

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