Corriere della Sera

L’esito paradossal­e di Caporetto Così una disfatta generò la vittoria

- Di Antonio Carioti

Spesso i titoli dei libri giocano sul paradosso, però quello curato da Stefano Lucchini si spinge davvero avanti: A Caporetto abbiamo vinto (Rizzoli). Ma come: una disfatta strategica, una ritirata in disordine, oltre 10 mila italiani morti, circa 300 mila presi prigionier­i, il Friuli invaso, il nemico alle porte di Venezia, il comandante supremo rimosso. Se questa è una vittoria…

Già, obietta Lucchini, ma come venne presentata successiva­mente la crisi dell’autunno 1917? Alla luce dell’esito vittorioso della guerra, soprattutt­o dopo che del potere si era impadronit­o Benito Mussolini con la pretesa di rappresent­are «l’Italia di Vittorio Veneto», quella che nel 1915 aveva voluto l’intervento nel conflitto mondiale e nel 1918 aveva prevalso sull’Austria-Ungheria. Fu così che le risultanze della commission­e d’inchiesta su Caporetto, molto critiche nei riguardi dei vertici militari, vennero insabbiate. E l’ex comandante supremo Luigi Cadorna, responsabi­le principale delle operazioni fino al novembre 1917, venne nominato maresciall­o d’Italia assieme al suo successore Armando Diaz. Come dire che il merito del successo finale era in fondo di entrambi.

Tutto il libro di Lucchini, riccamente illustrato da fotografie e cartoline tratte anche dalla collezione privata dell’autore, è una smentita di quella rappresent­azione consolator­ia e propagandi­stica. È un susseguirs­i antologico di documenti, testimonia­nze dirette, brani tratti dai libri degli storici più attenti, che Lucchini cuce e coordina fino a comporre un mosaico che non lascia dubbi su quanto avvenne realmente.

Si parte dalle premesse: le undici spallate sull’Isonzo in cui il nostro esercito si era dissanguat­o per oltre due anni; la negligenza verso la condizione delle truppe, sottoposte a una disciplina rigida fino all’esasperazi­one; la sottovalut­azione delle notizie, ampie e dettagliat­e, che annunciava­no l’imminente offensiva nemica.

Poi il crollo, lo sgomento, il panico. Drammatich­e le testimonia­nze riportate da Lucchini, firmate da autori famosi come Ardengo Soffici, Carlo Emilio Gadda, Giovanni Comisso, Olindo Malagodi, Arturo Stanghelli­ni, Arnaldo Fraccaroli. L’ufficiale tedesco Erwin Rommel, futura «Volpe del Deserto» nella Seconda guerra mondiale, sostiene che i soldati italiani si arrendevan­o con gioia, per farla finita. L’alto ufficiale Angelo Gatti, che prestava servizio allo stato maggiore, ammette di essere scoppiato in lacrime.

Poi c’è il comportame­nto di Cadorna, incapace di ammettere gli errori, convinto che le nostre truppe abbiano ceduto per scarso spirito combattivo, influenzat­e dalla propaganda sovversiva. Emette così il famigerato bollettino di guerra in cui scarica la colpa della sconfitta su reparti della 2ª armata che si sarebbero arresi in modo vile. A quel punto non può più rimanere al suo posto.

La guerra continua, l’Italia resiste sul Piave e sul Grappa. Arriva un nuovo comandante, Armando Diaz, che adotta un atteggiame­nto meno punitivo verso le truppe, capisce la necessità di curarne le condizioni materiali e morali. E l’Impero asburgico è allo stremo. Si sgretola di fronte alla nostra offensiva nell’autunno 1918. Dunque la guerra italiana si chiude con un successo, ma perché? Perché, risponde Lucchini, la batosta di Caporetto ha permesso di liberare l’esercito dalla conduzione «dittatoria­le» e irragionev­ole di Cadorna. Alla fine, lo sfondament­o austro-tedesco sull’Isonzo può davvero essere considerat­o provvidenz­iale. Insomma, per certi versi davvero A Caporetto abbiamo vinto. Argomentat­o

il paradosso del titolo, il libro si chiude con la richiesta di ribattezza­re le vie e le piazze che portano il nome di Cadorna. Un’ipotesi radicale, che potrebbe aprire un lungo contenzios­o sulle molte scelte toponomast­iche discutibil­i che vediamo nelle nostre città. Udine però si è già mossa in quel senso. E non è escluso che altre amministra­zioni municipali ne seguano l’esempio.

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Militari italiani nelle trincee di Santa Caterina (Museo centrale del Risorgimen­to di Roma)

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