L’esito paradossale di Caporetto Così una disfatta generò la vittoria
Spesso i titoli dei libri giocano sul paradosso, però quello curato da Stefano Lucchini si spinge davvero avanti: A Caporetto abbiamo vinto (Rizzoli). Ma come: una disfatta strategica, una ritirata in disordine, oltre 10 mila italiani morti, circa 300 mila presi prigionieri, il Friuli invaso, il nemico alle porte di Venezia, il comandante supremo rimosso. Se questa è una vittoria…
Già, obietta Lucchini, ma come venne presentata successivamente la crisi dell’autunno 1917? Alla luce dell’esito vittorioso della guerra, soprattutto dopo che del potere si era impadronito Benito Mussolini con la pretesa di rappresentare «l’Italia di Vittorio Veneto», quella che nel 1915 aveva voluto l’intervento nel conflitto mondiale e nel 1918 aveva prevalso sull’Austria-Ungheria. Fu così che le risultanze della commissione d’inchiesta su Caporetto, molto critiche nei riguardi dei vertici militari, vennero insabbiate. E l’ex comandante supremo Luigi Cadorna, responsabile principale delle operazioni fino al novembre 1917, venne nominato maresciallo d’Italia assieme al suo successore Armando Diaz. Come dire che il merito del successo finale era in fondo di entrambi.
Tutto il libro di Lucchini, riccamente illustrato da fotografie e cartoline tratte anche dalla collezione privata dell’autore, è una smentita di quella rappresentazione consolatoria e propagandistica. È un susseguirsi antologico di documenti, testimonianze dirette, brani tratti dai libri degli storici più attenti, che Lucchini cuce e coordina fino a comporre un mosaico che non lascia dubbi su quanto avvenne realmente.
Si parte dalle premesse: le undici spallate sull’Isonzo in cui il nostro esercito si era dissanguato per oltre due anni; la negligenza verso la condizione delle truppe, sottoposte a una disciplina rigida fino all’esasperazione; la sottovalutazione delle notizie, ampie e dettagliate, che annunciavano l’imminente offensiva nemica.
Poi il crollo, lo sgomento, il panico. Drammatiche le testimonianze riportate da Lucchini, firmate da autori famosi come Ardengo Soffici, Carlo Emilio Gadda, Giovanni Comisso, Olindo Malagodi, Arturo Stanghellini, Arnaldo Fraccaroli. L’ufficiale tedesco Erwin Rommel, futura «Volpe del Deserto» nella Seconda guerra mondiale, sostiene che i soldati italiani si arrendevano con gioia, per farla finita. L’alto ufficiale Angelo Gatti, che prestava servizio allo stato maggiore, ammette di essere scoppiato in lacrime.
Poi c’è il comportamento di Cadorna, incapace di ammettere gli errori, convinto che le nostre truppe abbiano ceduto per scarso spirito combattivo, influenzate dalla propaganda sovversiva. Emette così il famigerato bollettino di guerra in cui scarica la colpa della sconfitta su reparti della 2ª armata che si sarebbero arresi in modo vile. A quel punto non può più rimanere al suo posto.
La guerra continua, l’Italia resiste sul Piave e sul Grappa. Arriva un nuovo comandante, Armando Diaz, che adotta un atteggiamento meno punitivo verso le truppe, capisce la necessità di curarne le condizioni materiali e morali. E l’Impero asburgico è allo stremo. Si sgretola di fronte alla nostra offensiva nell’autunno 1918. Dunque la guerra italiana si chiude con un successo, ma perché? Perché, risponde Lucchini, la batosta di Caporetto ha permesso di liberare l’esercito dalla conduzione «dittatoriale» e irragionevole di Cadorna. Alla fine, lo sfondamento austro-tedesco sull’Isonzo può davvero essere considerato provvidenziale. Insomma, per certi versi davvero A Caporetto abbiamo vinto. Argomentato
il paradosso del titolo, il libro si chiude con la richiesta di ribattezzare le vie e le piazze che portano il nome di Cadorna. Un’ipotesi radicale, che potrebbe aprire un lungo contenzioso sulle molte scelte toponomastiche discutibili che vediamo nelle nostre città. Udine però si è già mossa in quel senso. E non è escluso che altre amministrazioni municipali ne seguano l’esempio.