Corriere della Sera

L’inferno di una separazion­e in una Russia senza speranze

LOVELESS Il regista Zvjagincev convince con il dramma di un adolescent­e

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Una battuta ci fa capire che la storia è ambientata quando l’inverno non è ancora passato perché «di notte torna il freddo che impedisce di dormire all’aperto». Eppure le prime, silenziose immagini di Loveless di Andrei Zvjagincev sono quelle di un parchetto coperto di neve: lo rivedremo poco più avanti, non più imbiancato, attraversa­te dal giovane Alioša che sta tornando a casa e cammina lungo un laghetto e tra alberi poco in salute, o caduti o rotti. Un’introduzio­ne cupa e raggelante, che la neve rende ancora più fredda e inospitale, senza un legame temporale con le immagini che seguiranno ma che aiuta a capire la desolazion­e, reale e metaforica, in cui stiamo per muoverci.

Zvjagincev non è un regista molto compiacent­e. Il suo film precedente, l’ottimo Leviathan, restituiva un quadro senza speranze della Russia di oggi, dove potere politico, rapacità economica e ideologia religiosa (che nell’epoca di Putin ha sostituito definitiva­mente quella sovietica) si alleano per strangolar­e chi si mette sulla loro strada. Con Loveless (Senza amore) il suo sguardo continua a non aver speranza sul futuro del suo Paese, ma qui si fa più «privato», dentro una coppia piccolo borghese in procinto di separarsi: la rabbia e l’odio accumulato l’una contro l’altro è palpabile fin dalle prime scene, così come colpisce la totale indifferen­za dei due genitori per il destino del loro figlio dodicenne. Preoccupat­i solo di pianificar­e il proprio di destino: lui aspetta già un figlio dalla propria insignific­ante amante; lei, direttrice di un salone di bellezza, è la donna di un qualche nuovo ricco, ben più anziano di lei. E il povero Alioša non può che piangere in silenzio senza nemmeno farsi vedere, come scopriamo Volti Maryana Spivak e Aleksey Rozin, protagonis­ti di «Loveless», Premio della Giuria a Cannes 2017 in una scena che resta impressa nel cuore dello spettatore, quando la madre chiude una porta e svela il ragazzo in favore della macchina da presa, al buio e con le lacrime ma incapace di emettere un singhiozzo. Così, quando la donna scopre che Alioša è sparito — non va a scuola da due giorni, nessun compagno ha notizie —, la sorpresa è più dei genitori che dello spettatore. Anzi, verrebbe quasi da tirar un sospiro di sollievo perché il ragazzino si è finalmente tirato fuori da quell’inferno casalingo.

Ma è a questo punto che Zvjagincev cambia registro accompagna­ndoci a scoprire come quelle fughe siano accadiment­i ricorrenti nella vita della nuova Russia. Così almeno sembra di capire dalla freddezza un po’ scocciata di un funzionari­o di polizia che raccoglie la denuncia della scomparsa («non facciamo niente perché nel 70 per cento dei casi i figli tornano a casa dopo qualche giorno». E più agghiaccia­nte ancora: «Non la porto in commissari­ato perché questo non mi sembra il tipico caso in cui i genitori uccidono i loro figli e poi li denunciano come scomparsi»). È lui che consiglia ai genitori

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