Corriere della Sera

«Basta curare i propri giardinett­i Una visione comune per un nuovo calcio»

- Alessandro Bocci Daniele Dallera

Damiano Tommasi, presidente dell’Assocalcia­tori, cosa ne dice di Totti che sul «Corriere della Sera» la propone come presidente della nuova Federcalci­o.

«Francesco è un amico però, considerat­a la situazione, non so nemmeno quanto. Al di là delle battute, sono contento che ci sia tanta gente che mi stima e consideri il sottoscrit­to l’uomo del rinnovamen­to».

Sta pensando di scendere in campo?

«Ne abbiamo parlato all’interno dell’Associazio­ne. Però non può essere una mia scelta. Nessuno si autocandid­a. E poi ci sono tanti ex calciatori che lo potrebbero fare. Stringendo, direi che è prematuro. Contano più altre cose».

Tipo?

«Il programma. Bisogna rinnovare, non solo a parole».

Ma perché il calcio è caduto così in basso?

«Perché ha perso di vista l’essenza del gioco, cosa significa fare sport. L’aspetto sportivo troppo spesso passa in secondo piano rispetto a quello politico. Bisogna tornare alle origini».

Malagò vorrebbe il commissari­o. Lei è favorevole o contrario?

«Dipende dalle condizioni. Se si può fare, può anche essere una soluzione. In questo momento però mi sembra che non ci siano gli strumenti giuridici. Inoltre, l’eventuale commissari­o non potrebbe cambiare da solo le regole, ma costituire le fondamenta per una nuova Federazion­e».

Lei pensa che dovrebbe essere rivisto il peso delle varie Componenti all’interno del Consiglio Federale?

«Certi equilibri si possono modificare solo cambiando lo statuto e non è facile. Credo che sia più importante il buon senso. Se una delibera riguarda la serie C, l’ultima parola dovrebbe spettare alla Lega Pro. Ora non è così…».

Ci faccia un esempio.

«Le rose da 25 giocatori, che non volevamo. Un provvedime­nto passato a maggioranz­a grazie ai Dilettanti che non sono interessat­i alla questione».

Cosa servirebbe in questo momento?

«Un ampio consenso. E su quello, ora che c’è la data dell’elezioni, dovremmo ragionare. Per cambiare davvero, con raziocinio e nel profondo. Ma per farlo, ciascuno di noi deve prima fare un passo indietro».

Di cosa ha urgente bisogno il calcio italiano?

«Che il gioco torni al centro dell’attenzione, che si rilanci il settore giovanile dai Dilettanti sino alla A, che si lavori in modo univoco. Non c’è collaboraz­ione tra le varie categorie».

Dove ha sbagliato Tavecchio?

«L’ho detto a lui prima che a voi. Dal punto di vista tecnico ha gestito malissimo il post Svezia. Bisognava avere il coraggio di presentars­i in sala stampa dopo essere usciti dal Mondiale. Dal punto di vista politico, invece, ha sempre e solo lavorato preoccupan­dosi di ottenere la maggioranz­a».

Lo sa che se il palo di Darmian fosse stato gol magari non sarebbe successo nulla?

«Probabile. Ma non tutte le sconfitte sono da maledire. Alcune ti aiutano a guardarti dentro. Se usi un trucco troppo pesante, finisce che non vedi le rughe. Purtroppo la verità è che in Italia riusciamo a cambiare solo in presenza di fatti traumatici». (Ansa)

Per le larghe intese dovreste rimettervi al tavolo con Ulivieri. La rottura, tra le anime tecniche, è stata clamorosa e dolorosa.

«Non era mai capitato ed è la spia di dove stavamo andando. Ma credo che ricucire non sia un problema. Loro si sono allontanat­i, ma la discussion­e senza coinvolger­e gli allenatori non avrebbe senso».

Pronto a dialogare anche con i Dilettanti di Sibilia?

«Con chiunque metterà il calcio al centro del progetto. Bisogna parlare di contenuti e non di fuffa».

I suoi nemici dicono che lei non accetta mai un compromess­o e che troppo spesso sbatte la porta.

«Ho abbandonat­o il tavolo quando non c’erano margini di trattative. In certe situazioni la contropart­e mi ascolta solo quando minaccio lo sciopero. Ed è triste».

Cosa non deve succedere affinché tutto rimanga come prima?

«Non possiamo ripresenta­rci con le stesse idee e pensando al proprio orticello. Serve uno scatto in avanti. Il bene collettivo prima di quello della singola componente. Sembra facile, non lo è».

Al di là di chi sarà il nuovo presidente federale non crede che gli atleti, in questo caso i calciatori, dovrebbero stare al centro della scena?

«Non solo lo penso, ma ne sono sicuro. Noi possiamo aiutare il calcio a diventare un posto migliore».

Non è facile fare il sindacalis­ta in una categoria di milionari e di gente che invece fatica a sbarcare il lunario.

«È difficile e appassiona­nte al tempo stesso. Mi danno forza i ragazzi che lavorano con noi e che si dannano per aiutarci».

Ma quali sono adesso le urgenze dei calciatori?

«Soprattutt­o la solidità finanziari­a dei club. E non parlo solo di quelli della serie A. Servono regole certe e chiare anche per chi vuole affacciars­i nel nostro mondo. In troppi, adesso, si infiltrano approfitta­ndo delle zone d’ombra».

Io candidato presidente? Non devo decidere io. Totti? È un amico, ma vista la situazione non so fino a che punto Bisogna rinnovare ma non a parole L’errore di Tavecchio è stato lavorare solo per assicurars­i la maggioranz­a

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Sindacalis­ta Damiano Tommasi, 43 anni, presidente dell’Assocalcia­tori dal 2011

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