La supercar silenziosa Un salto culturale col pieno di emozioni
Lavoro e ritorno ogni giorno con un’auto Diesel che consuma come un aereo al decollo: un motivo più che convincente per salire su una vettura elettrica e scoprire se davvero il futuro è questo o se invece le vecchie abitudini non moriranno mai, carburante permettendo. Poi scopri che l’elettrica non è una macchina qualsiasi, ma un mostro di prestazioni: non male per chi pensava che il massimo delle ricaricabili fossero le golf car.
Tesla, Model X: il primo incontro con quella che assomiglia molto a una supercar è una via di mezzo tra l’incuriosito e il sospettoso. Perché è subito evidente che non si tratta di una macchina normale: per dimensioni, decisamente imponenti, per peso, per la cura nei particolari. Per quelle inconfondibili portiere posteriori che si aprono ad ala di falco. Siedi al posto di guida e la prima cosa che ti colpisce è l’essenzialità dei comandi che quasi contrasta con l’enormità del monitor touch screen, 17 pollici su cui controllare ogni particolare della vettura. Poi metti in moto. Forza dell’abitudine, cerchi il pulsante per avviare la vettura, non c’è: ovvio, in realtà l’auto è sempre accesa. Per capirsi, è come stare seduti su un enorme smartphone, con una batteria che va da ruota a ruota, due motori (per questo si chiama D, Dual) sistemati sui due assi. E per muoversi basta dare un colpo all’acceleratore.
Prima sensazione: silenzio. Silenzio assoluto. Solo il rumore degli pneumatici sull’asfalto. Seconda sensazione: potenza. È come guidare una monomarcia. Quando dai gas (o corrente, quale sarà il termine più logico?), la Model X risponde immediatamente, inchiodandoti le spalle allo schienale. Può arrivare fino a 250 km all’ora, ma solo perché è autolimitata, altrimenti... È soprattutto la ripresa, però, a impressionare, perché quando schiacci va, va velocissima, e continua a crescere in presa diretta. Poi, quando è il momento di frenare, quasi ti dimentichi di usare il pedale, perché basta staccare il piede dall’acceleratore per sentire, prepotente e sicuro, il freno motore che interviene, ricaricando la batteria.
Già, la ricarica. Bastasse frenare, per avere sempre carica l’auto, allora bisognerebbe dare alla Tesla il Nobel per aver brevettato il moto perpetuo. In realtà, per un automobilista abituato — come ovvio — a fermarsi al distributore non appena si accende la spia della riserva, si tratta di un salto culturale. Non c’è contagiri, ma un diagramma con i consumi; non c’è l’indicatore del serbatoio ma l’icona di una batteria in puro cellulare style che perde tacche man mano che si viaggia. E qui l’ansia cresce. Perché un distributore di benzina lo si trova a ogni angolo, uno di corrente elettrica un po’ meno. Bisogna fidarsi del navigatore. E armarsi di pazienza quando lo si trova, perché una ricarica dura molto di più di un rifornimento. Pazienza ampiamente compensata dal costo di un «pieno». E se poi il percorso è breve, allora basta la ricarica nel box di casa, auto attaccata alla corrente come un telefonino qualsiasi (ancora). Particolare da non sottovalutare, ora che si ricomincia con il Diesel da aereo al decollo.