Milano, al processo contro Cappato per aiuto al suicidio. La fidanzata: «È stata la sua battaglia per la libertà»
Per ore l’aula della Corte d’assise resta sospesa in un silenzio commosso mentre la fidanzata e la madre di Dj Fabo testimoniano quanto lui amasse la vita fino a scegliere la morte quando la prima gli è diventata insopportabile.
Marco Cappato, esponente dei radicali e dell’associazione Luca Coscioni, è l’unico imputato del processo. È accusato di aver «rafforzato il proposito suicidario» di Fabiano Antoniani che, tetraplegico dopo un incidente stradale nel 2014, a febbraio scorso si suicidò in Svizzera dopo aver schiacciato con i denti un pulsante per iniettarsi una sostanza letale. I pm Sara Arduini e Tiziana Siciliano avevano chiesto l’archiviazione, ma il gip Luigi Gargiulo impose il processo.
«Fabiano si saziava mangiando la vita con gli occhi» ricorda Valeria Imbrogno, psicologa e campionessa di pugilato. Nella decina d’anni insieme le aveva detto che avrebbe preferito morire piuttosto che vivere in condizioni per lui umilianti, anche prima dell’incidente. Quando si rese conto che non sarebbe più tornato neppure a vedere, decise di morire. Fu lui a chiederle di trovare informazioni su come arrivare al suicidio: «Era la sua battaglia per la libertà».
Il notaio che fece il testamento biologico, il medico che certificò che era capace di intendere, Valeria che lo aiutò a salire in auto, gli infermieri che posizionarono il meccanismo letale: fu indispensabile il contributo di tante persone, non solo di Cappato che guidò l’auto fino in Svizzera. «Non aveva paura di morire, aveva paura della sofferenza», dice la madre, Carmen Carollo. Lo salutò così: «Vai Fabiano, la mamma vuole che tu vada». Poi un auspicio: «Speriamo che sia la volta buona per una legge sul testamento biologico, mio figlio ha lottato tanto per questo». Alla fine la madre è scoppiata in lacrime, e il pm Siciliano le si è avvicinata con un fazzoletto dicendole: «Sei stata sin troppo forte».