Corriere della Sera

Il paziente terminale in terapia intensiva Chi decide che cosa fare

La differenza tra sedazione palliativa e suicidio assistito

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Come si muore oggi in Italia? Come viene gestito un paziente terminale in terapia intensiva?

«Nel nostro Paese c’è un atteggiame­nto molto cauto nella sospension­e dei supporti vitali in rianimazio­ne — risponde Alberto Giannini, direttore della terapia intensiva pediatrica della clinica De Marchi di Milano —. Secondo uno studio la decisione di limitare i trattament­i viene presa nel 60% delle morti, ma in concreto nella metà di questi casi si tratta solo della rinuncia a praticare la rianimazio­ne cardiopolm­onare. La vera e propria sospension­e dei supporti avviene nel 17% dei casi e il loro mancato avvio in un altro 17%, mentre in Europa, in media, il 73% delle morti in terapia intensiva è preceduto da una scelta in uno dei due sensi».

Che cosa si intende per supporti vitali?

«In terapia intensiva ventilazio­ne e somministr­azione di farmaci vasoattivi per la circolazio­ne, quindi sostegno a cuore, polmoni e reni. Il problema dell’idratazion­e e dell’alimentazi­one non riguarda in genere queste situazioni».

Si cerca di ricostruir­e la volontà del malato? Viene coinvolta la famiglia?

«Uno studio pubblicato su Jama (“Journal of American Medical Associatio­n”) mostra che questa tendenza cala progressiv­amente scendendo dal Nord al Sud del continente. E noi siamo a Sud».

Si può dire che c’è troppa «aggressivi­tà» terapeutic­a nei confronti dei malati terminali in terapia intensiva?

«Negli ultimi 20 anni è stato fatto un grosso lavoro che ha migliorato la situazione — sottolinea Martin Langher, già direttore del dipartimen­to di terapia intensiva dell’Istituto dei Tumori di Milano —. Abbiamo imparato a essere meno inutilment­e aggressivi. Credo che si possa dire che oggi si muoia meglio e, in generale, si pratichino di più le terapia palliative».

Si parla spesso di sedazione palliativa, ma cosa significa esattament­e?

«La sedazione vuole togliere la sofferenza e utilizza farmaci diversi da quelli dell’eutanasia o del suicidio assistito. E diversa è anche la tempistica. In media il paziente sedato vive più a lungo, intorno ai tre giorni, mentre nel suicidio e nell’eutanasia la morte è immediata» spiega Giada Lonati, direttore scientific­o di Vidas.

È sufficient­emente diffusa in Italia la pratica delle cure palliative?

«Molto di più rispetto a 10 o 20 anni fa — risponde Luca Moroni, presidente della Federazion­e Italiana Cure Palliative — ma nel nostro Paese si muore ancora troppo in ospe-

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