Cure sempre più efficaci Però da «seguire» bene
Il 74 per cento dei malati reumatici reputa scarsa la propria qualità di vita e il 46 per cento denuncia difficoltà nell’assunzione delle terapie.
Non solo: oltre l’80 per cento giudica scadente la propria qualità di vita, soprattutto per via di ansia, depressione e dolore. È la fotografia scattata dalla ricerca «Anmar we care, la qualità di cura dal punto di vista del paziente e del suo reumatologo», promossa da AnmarOnlus (l’Associazione nazionale malati reumatici) e realizzata dal centro di ricerca EngageMinds Hub dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, presentata di recente al Ministero della Salute.
L’indagine ha elaborato 364 questionari compilati da pazienti reumatici e 182 da medici reumatologi, con l’intento di misurare la partecipazione e condivisione dei malati nel loro percorso sanitario.
«È ciò che chiamiamo engagement – spiega Guendalina Graffigna, tra gli autori della ricerca e docente di Psicologia all’università Cattolica –: un coefficiente che ci permette di misurare quanto il paziente riesca ad essere “copilota”, protagonista nelle sue scelte, a cominciare dalla gestione della terapia in termini di aderenza. In sintesi: ci dice quanto il paziente si senta alleato con il sistema sanitario. I risultati di questo studio confermano che quanto più i pazienti si sentono coinvolti, tanto maggiore è la loro accuratezza nel seguire le terapie. Ma in questo modo migliorano anche la qualità di vita, il benessere psicologico e la soddisfazione per l’esperienza sanitaria».
In particolare i malati chiedono una migliore relazione e comunicazione con lo specialista, sia in merito alle cure, sia (soprattutto) per un maggiore comprensione dei propri bisogni psicologici.
«Le malattie reumatiche non sono soltanto tipiche di un’età matura – sottolinea Silvia Tonolo, presidente di ANMAR, che svolgerà un ruolo attivo nella campagna d’informazione itinerante #ReumaDays organizzata dalla Società Italiana di Reumatologia (si veda box) –. Queste patologie colpiscono anche i giovani e possono essere parecchio invalidanti, compromettendo, come riscontrato dallo studio, la condizione psicologica, la vita lavorativa e sociale. Con questi dati abbiamo però individuato quali sono le aree dell’alleanza medico-paziente sulle quali possiamo lavorare, in modo da incidere sui percorsi di cura, a vantaggio sia del paziente sia del sistema sanitario».
Oggi il traguardo raggiungibile da molti malati (se la diagnosticata viene posta quando non c’è ancora una compromissione irrimediabile degli organi colpiti) è la cosiddetta remissione clinica, cioè l’attenuazione o la completa scomparsa dei sintomi, che quando si protrae nel tempo può essere assimilata a una guarigione.
«Questo risultato si raggiunge Il report «ANMAR WE CARE» evidenzia che le patologie reumatiche incidono in modo determinante sugli aspetti psicologici: depressione e ansia causati dalla malattia sono giudicati invalidanti da quasi 9 intervistati su 10. Sebbene il 66% dei malati reumatici italiani sia soddisfatto dell’assistenza ricevuta, la stessa percentuale risulta non seguire con precisione la terapia prescritta grazie a diagnosi precoce, appropriatezza terapeutica e una completa sintonia fra il reumatologo e il suo assistito per la condivisione della strategia di cura – commenta Luigi Sinigaglia, direttore del Dipartimento Reumatologia al Gaetano Pini di Milano, il cui Centro specialistico ortopedico traumatologico ha recentemente celebrato il 50esimo anniversario della sua cattedra in Reumatologia –. Grazie a questi tre fattori è stato possibile ridurre la mortalità legata a molte malattie reumatiche, diminuire la disabilità e migliorare la qualità di vita dei pazienti. Il rapporto medicopaziente è un punto di cruciale importanza: i nuovi farmaci, ad esempio, necessitano di un monitoraggio molto stretto per evitare effetti collaterali ed è fondamentale che si instauri una cooperazione davvero efficace perche vengano ottenuti i risultati migliori, riducendo al minimo le possibili conseguenze indesiderate».