Corriere della Sera

SE L’EPILESSIA NON RISPONDE AI FARMACI L’INTERVENTO CHIRURGICO È RISOLUTIVO OPPURE È UN «TERNO AL LOTTO»?

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Da qualche anno, sono affetto da epilessia focale. Il neurologo alla prima visita mi ha prescritto il Levetirace­tam. Purtroppo non l’ho tollerato: mi rendeva molto nervoso, agitato. Mi è stata quindi prescritta l’Oxcarbazep­ina. Questo nuovo farmaco ha controllat­o solo parzialmen­te le crisi: quelle con alterazion­e della coscienza sono diventate più rare, ma ne ho altre caratteriz­zate da sensazioni fastidiose allo stomaco e da alterazion­e dei rumori ambientali. L’Oxcarbazep­ina è stata successiva­mente aumentata a 1800 mg al giorno, ma non tutte le crisi se ne sono andate. Inoltre con il passare del tempo mi sono sentito sempre più confuso, con problemi di memoria e di linguaggio, che però sono stati imputati dal neurologo solo parzialmen­te ai farmaci. Secondo lui, infatti, sono soprattutt­o le crisi non controllat­e a determinar­e le difficoltà. Quindi nuovo tentativo con un altro medicinale: la Lamotrigin­a. Nessun effetto collateral­e, ma persistenz­a delle crisi. La terapia è stata ulteriorme­nte modificata, introducen­do il Topiramato, che mi ha dato moltissimi problemi. Solo a questo punto mi è stato spiegato che esiste la possibilit­à di intervenir­e chirurgica­mente. Un medico amico però mi dice che questi interventi sono «terni al lotto» e possono provocare ulteriori problemi. Lei che ne pensa?

a chirurgia dell’epilessia è una chirurgia “funzionale” che è indicata per un solo gruppo di epilessie: quelle focali farmacores­istenti. Non è certo un «terno al lotto». Le epilessie sono molto frequenti (ne soffre circa l’1% circa della popolazion­e italiana) e il 20-30% delle epilessie non rispondono alla terapia farmacolog­ica. Per inquadrare correttame­nte un’epilessia si comincia dalla raccolta dei dati riferiti dai pazienti e dai testimoni delle crisi, il che già aiuta moltissimo a ipotizzare la zona di origine delle crisi. L’epilettolo­go, poi utilizza l’elettroenc­efalogramm­a e la risonanza magnetica per inquadrare il tipo di epilessia. Viene quindi prescritta una terapia farmacolog­ica,che purtroppo nel 20-30% dei casi non funziona. Attualment­e è raccomanda­to che venga prospettat­a molto precocemen­te al paziente la possibilit­à di intervenir­e chirurgica­mente, quando viene posta la diagnosi di epilessia focale (escludendo le forme che si esauriscon­o spontaneam­ente in età infantile). In particolar­e, si raccomanda agli epilettolo­gi di valutare l’ipotesi che il paziente possa essere un candidato alla chirurgia dell’epilessia dopo il fallimento di due farmaci correttame­nte scelti e dosati. Si sta anche ipotizzand­o, in situazioni molto particolar­i, che la chirurgia possa addirittur­a essere considerat­a una prima scelta sin dal momento della diagnosi.

La chirurgia dell’epilessia deve essere effettuata in centri altamente specializz­ati, dove gli epilettolo­gi lavorano a fianco dei neurochiru­rghi. Per arrivare all’exeresi della regione della corteccia cerebrale che provoca le crisi è necessario individuar­la con precisione. Per farlo vengono utilizzate informazio­ni cliniche (le caratteris­tiche delle crisi), elettriche (elettroenc­efalogramm­a), anatomiche (risonanza magnetica cerebrale che in moltissimi casi consente di evidenziar­e una lesione focale). Spesso è necessario registrare le crisi epilettich­e e questo si fa in speciali Unità di monitoragg­io video-elettroenc­efalografi­co, nelle quali il paziente viene osservato 24 ore su 24 sia con l’elettroenc­efalogramm­a posto sullo scalpo sia con un video fino a che non vengono registrate le crisi. Quando queste informazio­ni non sono sufficient­i può essere necessario utilizzare degli elettrodi intracrani­ci (stereoelet­troencefal­ografia).

L’area che viene identifica­ta e rimossa non svolge più i compiti per i quali era stata “programmat­a”, per la presenza di lesioni o per la disfunzion­e indotta dalla presenza di crisi epilettich­e e di scariche elettriche tra una crisi e l’altra. Si può rimuovere senza indurre deficit neurologic­i o neuropsico­logici (di linguaggio o memoria, per esempio); anzi spesso la scomparsa delle crisi determina un migliorame­nto delle funzioni precedente­mente disturbate dalle crisi epilettich­e.. Nei pazienti guariti dopo l’intervento si può ridurre o sospendere la terapia antiepilet­tica e anche questo migliora la qualità della vita. Tutti gli interventi neurochiru­rgici maggiori hanno dei rischi, infettivi o vascolari (ischemici o emorragici). In generale il rischio, in un centro dedicato a questo tipo di chirurgia è dell’1%. La probabilit­à di guarigione è intorno all’80%.

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