Corriere della Sera

Dai ministri ai padri nobili Così si rafforza il «partito» di Gentiloni

La spinta di Calenda e l’abbraccio di Rutelli

- di Monica Guerzoni

In cima alla top ten dei leader più amati (o meno detestati) c’è sempre lui, il premier. E anche dentro il Pd, scosso dai responsi impietosi dei sondaggi, l’idea di un Gentiloni bis è forse l’unico antidoto alla paura di perdere. Persino Ettore Rosato, uno dei dirigenti più ascoltati da Renzi, non chiude all’ipotesi di un secondo mandato per Paolo Gentiloni: «Come ha detto Matteo noi siamo una squadra... Non abbiamo un solo leader, ma una leadership plurale con caratteris­tiche diverse».

Nei piani del Nazareno il segretario guiderà la campagna elettorale e Gentiloni darà una mano da Palazzo Chigi, nel suo stile felpato e defilato. Ed è proprio l’attitudine a restare un passo indietro, nonostante il ruolo, che fa dell’ex ministro degli Esteri il candidato del centrosini­stra con più chance di succedere a se stesso. Se un vero e proprio «partito di Gentiloni» non esiste, in questo anno di governo si è andato saldando un asse trasversal­e che guarda a lui per il prossimo giro e che include i padri nobili del Pd. Romano Prodi non fa mistero di apprezzarl­o, Enrico Letta ha detto che «un bis sarebbe la cosa migliore per l’Italia», Walter Veltroni è andato a trovarlo a Palazzo Chigi... «Gentiloni è assolutame­nte sereno e molto più forte di quanto si immagini», ha dichiarato al Corriere il ministro Carlo Calenda.

Se una nuova sintonia lega Gentiloni a Giuliano Pisapia, solido e antico è il rapporto con Francesco Rutelli. «Il lavoro del premier è apprezzato in Italia e in Europa», lo ha presentato l’8 dicembre al Tempio di Adriano l’ex sindaco di Roma, dove Gentiloni era applaudito da Calenda, Sandro Gozi, Benedetto della Vedova e Beatrice Lorenzin.

Il caso Bankitalia ha svelato tensioni su questioni cruciali, eppure Gentiloni non ha mai rotto il patto di lealtà che lo lega a Renzi. Il quale, se pure non farà il beau geste di lasciargli il posto, potrebbe al momento opportuno pronunciar­e il suo nome per un governo di larghe intese. D’altronde Silvio Berlusconi, Fedele Confalonie­ri e Gianni Letta hanno sempre guardato a Gentiloni con una certa indulgenza.

Per Carlo De Benedetti, intervista­to da Aldo Cazzullo giorni fa, «è il candidato naturale». E chissà che non lo diventi (giocoforza) anche per Renzi. Sabato, a Reggio Emilia, il leader riunirà ministri e amministra­tori e chiamerà il premier sul palco. Il debutto dello schema a due punte? «Gentiloni è suadente, meno appuntito e più popolare di Renzi — osserva Cesare Damiano — Chi dovrà conferire l’incarico per il nuovo governo, ne terrà conto». E qui l’ex ministro chiama in causa il presidente Mattarella, con il quale Gentiloni ha aperto un canale di reciproca fiducia.

Il primo a suggerire una staffetta tra Renzi e Gentiloni è stato Luciano Violante. La proposta ha conquistat­o la minoranza del Pd, da Michele Emiliano ad Andrea Orlando. Andrea Martella pensa che Gentiloni sia «il nome giusto in chiave di riunificaz­ione del centrosini­stra» e Franco Monaco vede nel premier l’unica personalit­à in grado di incarnare quel leader «federatore» che fu a suo tempo Prodi. Via libera anche da Socialisti e Radicali. Riccardo Nencini vedrebbe bene «una campagna a due punte» e Riccardo Magi ha apprezzato «la sensibilit­à istituzion­ale di Gentiloni sulle firme e l’attenzione al rilancio dell’integrazio­ne europea».

Le due punte L’idea di uno schema a due punte con una staffetta tra Renzi e l’attuale premier

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