Pistole e mazzi di carte, l’opera di Puccini come il set di un film
Le massime autorità politiche che latitano, una mondanità sobria e perciò più elegante, un titolo che manca da tempo in cartellone, una drammaturgia cinematografica a suo modo, un allestimento illustrativo: non mancano analogie tra le inaugurazioni delle stagioni d’opera della Scala e, due giorni dopo, del San Carlo di Napoli.
Se però la corda illustrativa di Martone alla Scala ha un po’ sorpreso, l’allestimento di Hugo de Ana per La fanciulla del West di Puccini è naturalistico come lo si immaginava: scenografie e costumi accurati, nessun dettaglio fuori posto (dalle colt ai mazzi di carte, dalla tempesta di neve ai tramonti) e sfondi e tagli di luce che rendono il tutto come il set di un film western.
Chi invece tenta un originale lavoro di scavo interpretativo di quest’opera, per molti versi un unicum del teatro pucciniano, sperimentale in altro modo di come lo saranno le successive, è il giovane direttore musicale Juraj Valcuha. Ha più esperienza sinfonica che teatrale. Lo si nota quando fatica a trovare equilibrio sonoro tra buca e palcoscenico. Ma nelle pieghe assai ricercate dell’inedito linguaggio di questo Puccini, più evidenti nel primo atto che altrove, si addentra con una sensibilità fatta di tempi larghi ma non seduti e di ostinata messa a fuoco dei timbri, che rende particolarmente seducente, ad esempio, la scena dell’innamoramento di Minnie e del bandito Johnson a fine 1° atto. La relazione sinfonica tra i tempi attuata da Valcuha è inoltre funzionale alla forma completamente aperta, cinematografica, dell’opera, che concede alla tradizione solo la romanza tenorile del 3° atto.
Perché giunga a un certo grado di compiutezza e rendimento, questo investimento sinfonico avrebbe però bisogno di ben altro contributo di quello che offre Emily Magee, la protagonista. Può essere Salome o Elektra o una Walkiria, non Minnie. La disomogeneità di emissione (bene gli acuti, male il centro e i gravi), la pessima dizione, quella fatica nel fraseggiare che compromette sul nascere la naturalezza con cui dovrebbe presentarsi forte e leggiadra allo stesso tempo, non fanno di lei una Fanciulla ideale. E tanto non lo è che passano quasi in cavalleria la debolezze degli altri protagonisti, i rivali Rance e Johnson. Il primo, Claudio Sgura, è uno sceriffo che incute ben poco timore semplicemente perché la voce fatica ad arrivare. L’altro, il pur generoso Roberto Aronica, fraseggia con quel tanto di enfasi che, passi altrove, non è dello stile pucciniano. Applausi per tutti, ma non sono applausi calorosi.