«Sono nata qui, mai avuto così paura I lupi solitari? Dovremmo aiutarli»
«Sono cresciuta in questa città, ma non mi sono mai sentita insicura come ora». Erica Jong risponde al telefono dalla sua casa-ufficio nell’Upper East side di Manhattan, una delle zone residenziali più ambite, dove vive
con il suo quarto marito, l’avvocato Ken Borrows. La scrittrice, figura chiave della cultura femminista, è nata settantacinque anni fa a New York in una famiglia, come ama raccontare lei stessa, di artisti. Suo padre, Seymour Mann, era una musicista ebreo di origini polacche; sua madre, Eda Mirsky, una pittrice e disegnatrice di tessuti. È diventata universalmente famosa nel 1973 con Paura di volare, un racconto sull’emancipazione sessuale femminile. Ultimo romanzo: Paura di morire, pubblicato nel 2015. Un altro attentato a New York...
«Ormai ogni giorno mi sveglio con l’idea che sia successo qualcosa di spaventoso. Stamattina ci ha telefonato l’assistente di mio marito. Passa sempre da Port Authority: “C’è stata un’esplosione, sono bloccata”. È una cosa che sembra far parte della nostra vita quotidiana. Invece siamo stati incredibilmente fortunati perché la bomba è esplosa prima o in modo difettoso».
Anche questa volta, però, la città ha assorbito subito il colpo. In breve tutto è tornato alla normalità. È così? «Comincio dal mio stato d’animo. Sono cresciuta qui: trenta, venti anni fa non c’era questo clima. Non c’è mai stato. Non mi sono mai sentita così insicura come ora. Le nostre forze di polizia fanno un lavoro eccellente, nulla da dire. Anche il sindaco e il governatore fanno il possibile. Ma il problema è che questi attentati sono completamente imprevedibili, possono capitare ovunque. È una situazione che mi ricorda l’epoca del terrorismo in Nord Irlanda. Può sembrare che New York si stia abituando, ma io ho l’impressione che i newyorkesi siano molto nervosi,per non dire terrorizzati».
Donald Trump è stato eletto anche per le sue promesse sulla sicurezza. C’è qualcosa che non sta funzionando? «Trump è la fonte dell’insicurezza, non il rimedio. Mi aspetto sempre che faccia qualcosa di terribile, bombardare la Corea del Nord o altro. È un presidente che non sa niente, non conosce la storia. Ha commesso grandi errori fomentando la contrapposizione degli Stati Uniti con il mondo musulmano e attaccando la stessa comunità musulmana nel nostro Paese».
Non è che il presidente interpreta anche sentimenti diffusi nell’America profonda?
«Certo, la nostra società è cambiata molto negli ultimi 10-20 anni. Anche New York. C’è meno comprensione, disponibilità a immedesimarsi negli altri, a cercare di capirli».
I «lupi solitari», i giovani terroristi, sono comparsi molto prima che Trump prendesse il potere…
«È una generazione di giovani che sono quasi sempre nati qui in America. Non li conosciamo, non sappiamo chi siano. Questo è il dramma. Leggiamo le loro vicende personali solo dopo che hanno commesso gli attentati. Sono uomini senza un lavoro, senza speranze che si radicalizzano su Internet. Bisognerebbe riuscire a intercettarli prima, uno per uno, per provare ad aiutarli. Ma sinceramente non so come si possa fare a identificarli». Non c’è soluzione, quindi? «Temo di no, per il momento. Dovremo davvero convivere con le nostre paure».