Corriere della Sera

Cellulari in classe, il divieto francese E Fedeli studia una via italiana

- Di Orsola Riva

«Proibiremo l’uso degli smartphone all’interno delle scuole elementari e medie». Emmanuel Macron lo aveva promesso in campagna elettorale e così sarà. Lo ha annunciato domenica il suo ministro dell’Educazione Jean-Michel Blanquer: «Dal prossimo anno i telefoni andranno spenti appena superato il portone della scuola e non più solo a lezione». Più facile a dirsi che a farsi. Lo stesso ministro ha ammesso che «si può avere bisogno del cellulare per usi pedagogici o situazioni di emergenza». Una soluzione sembrerebb­e quella di depositarl­i in armadietti con la serratura, ma chi garantisce che i più furbi non ne tengano un altro in tasca? Anche da noi finora, in base alla circolare Fioroni del 2007, l’uso del cellulare in classe era vietato. Ma la ministra Valeria Fedeli la pensa diversamen­te e, ritenendo il semplice divieto «troppo drastico» (o comunque inutile, visto che uno studente su due ammette di usarlo), ha messo in piedi un tavolo di esperti che entro la fine di gennaio dovrà stendere delle linee guida per l’uso dei dispositiv­i personali a scopo didattico. «Il nostro obiettivo — spiega Carmela Palumbo del Miur — è individuar­e quelle pratiche innovative che alcuni istituti d’avanguardi­a hanno già sperimenta­to con successo e offrirle alle altre scuole». Basta con la contrappos­izione fra apocalitti­ci e integrati, il mondo digitale secondo Fedeli può diventare addirittur­a «il principale alleato della scuola di qualità». Non la pensa così il pedagogist­a Daniele Novara: «Autorizzar­e lo smartphone a scuola è come dare dell’acqua a uno che sta affogando. Ma lo sanno al Miur che i ragazzi non dormono più la notte per stare attaccati al cellulare? Ci sono fior di studi che dimostrano come l’uso della tastiera non attivi le stesse sinapsi della scrittura manuale. In parole povere, faccia funzionare meno il cervello». Che il cellulare possa essere un elemento di distrazion­e lo riconosce anche Dianora Bardi, membro dell’altro gruppo di lavoro del Miur, quello sulle pratiche innovative: «Ma siamo sicuri che a muovere la mano dei ragazzini sulla tastiera nascosta sotto il banco non sia la noia per un insegnamen­to solo frontale che ormai ha fatto il suo tempo?». «Non voglio demonizzar­e i telefonini — replica il pedagogist­a Raffaele Mantegazza — ma trovo banale questa rincorsa delle mode. Perché la scuola non pensa a recuperare pratiche in disuso come scrivere delle lettere? Oggi i ragazzi, abituati a WhatsApp, si dimentican­o perfino di firmare il compito».

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy