Fisco, la lettera dei ministri Ue agli Usa «Contro le regole la riforma Trump»
Altmaier, Le Maire, Hammond, Padoan e Montoro Romero: rischio di concorrenza sleale
Dopo Israele, il fisco. I ministri della Finanze dei cinque principali Paesi dell’Unione Europea — oltre all’Italia ci sono Germania, Francia, Spagna e anche il Regno Unito sulla via della Brexit — hanno scritto al segretario di Stato americano al Tesoro, Steven Mnuchin. Una lettera di tre pagine nella quale Pier Carlo Padoan e i suoi colleghi europei contestano la riforma fiscale voluta dal presidente Donald Trump, che taglia le tasse alle imprese americane.
Ci sono «preoccupazioni significative», scrivono i cinque ministri a proposito della riforma simbolo della nuova amministrazione Usa, ancora all’esame del Parlamento degli Stati Uniti. E questo perché rischia di discriminare le società non degli Stati Uniti, andando contro le regole del Wto, l’organizzazione mondiale del commercio. E potrebbe anche distorcere gli accordi internazionali sulla tassazione, come quello sull’erosione della base imponibile. In una parola l’accusa è quella di dumping, cioè di favorire l’export americano e ostacolare quello dei Paesi europei. Una specie di guerra commerciale di Stato. Non proprio un dettaglio.
Nei giorni scorsi diversi Paesi europei, sempre Italia compresa, avevano criticato duramente l’annuncio di Trump di voler trasferire l’ambasciata americana in Israele, da Tel Aviv a Gerusalemme. Il tema è diverso. Ma è anche il segnale di un solco sempre più profondo che ormai separa le due sponde dell’Atlantico. A livello tecnico sono tre le misure contestate dai ministri europei, con un’iniziativa partita da
Germania e Regno Unito che ha poi coinvolto gli altri tre Paesi europei. La prima è la tassazione del 20% sui pagamenti a società affiliate all’estero. Una norma che «impatterebbe su accordi commerciali genuini» nel caso in cui i «pagamenti siano fatti per beni e servizi stranieri». E che «imporrebbe una tassa sui profitti di una società che non ha una residenza fisica permanente negli Stati Uniti». La seconda misura criticata è quella contro l’erosione della base imponibile da parte delle imprese, cioè la pratica di spostare i profitti verso altri Paesi con l’obiettivo di pagare meno tasse. Il rilievo è che «non sia indirizzata alla lotta contro gli abusi ma avrà un impatto sulle attività commerciali internazionali», con il rischio di «distorsioni» anche sui «sistemi fiscali e gli investimenti». L’ultima critica è per il regime speciale previsto per i cosiddetti redditi intangibili derivati dall’estero. L’incasso della vendita di beni e servizi per uso fuori dagli Stati Uniti, in sostanza, beneficerà di una tassazione ridotta al 12,5%. «Ma l’incentivo — scrivono i cinque ministri — sarebbe un sussidio all’export rispetto al consumo interno, e quindi potrebbe essere illegale» per l’Organizzazione mondiale del commercio.
Terminato l’elenco dei rilievi, i ministri europei si dicono «fiduciosi» sulla possibilità di un «compromesso saggio e ben equilibrato». Nel linguaggio senza spigoli della diplomazia l’auspicio è una richiesta, a volte una minaccia. Ma è probabile che il presidente Trump sia tutt’altro che preoccupato. E consideri la lettera arrivata ieri una medaglia da aggiungere sotto lo slogan che lo ha portato alla Casa Bianca: «America First», prima l’America.