Corriere della Sera

L’uomo dei rifiuti «Bimbi a rischio? Muoiano pure»

Livorno, intercetta­zioni choc: 6 arresti. Scarti pericolosi smaltiti come innocui

- Di Marco Gasperetti

Intercetta­zioni choc nell’inchiesta per i rifiuti tossici in Toscana. «Ci mancavano anche i bambini che vanno all’ospedale. Che muoiano, m’importa niente dei bambini che si sentano male». Parole pronunciat­e da uno degli arrestati e registrate dai carabinier­i, mentre il suo interlocut­ore sorride divertito.

«Ci mancavano anche i bambini che vanno all’ospedale. Che muoiano, m’importa niente dei bambini che si sentano male. Io li scarichere­i in mezzo di strada, i rifiuti».

Se non ci fossero realmente gli alunni di una scuola con gli occhi arrossati e la gola che fa male per le esalazioni di quei rifiuti pericolosi­ssimi della vicina discarica, ci sarebbe quasi da pensare a un orribile scherzo in vernacolo livornese. E invece quelle parole pronunciat­e da uno degli arrestati e registrate dai carabinier­i, mentre il suo interlocut­ore sorride divertito, non sono soltanto un oltraggio, ma resteranno per sempre il simbolo di questa maxi inchiesta della Dia su oltre 200 mila tonnellate di rifiuti tossici. Che, partita da Firenze e Livorno, è destinata ad allargarsi. Sei le persone arrestate, almeno una trentina gli indagati, 150 i carabinier­i del nucleo forestale impegnati nel blitz e coordinati dal procurator­e di Livorno, Ettore Squillace Greco.

Sarebbero decine e decine le aziende italiane che «ripulivano» i loro rifiuti tossici («c’è di tutto, tanto mercurio», si legge in un’altra intercetta­zione) in un paio di aziende toscane che, con trucchi amministra­tivi, raggiri e una sconcertan­te incapacità di controllo delle autorità competenti, riuscivano a smaltire sostanze altamente tossiche come se fossero normale spazzatura cambiando codici e documenti. Un metodo definito dal pubblico ministero Squillace Greco simile a quello usato dalla camorra nella Terra dei fuochi.

Agli arresti domiciliar­i per traffico di rifiuti, associazio­ne per delinquere e truffa aggravata, sono finiti imprendito­ri e gestori di impianti di riciclaggi­o di scarti altamente pericolosi. Sono Emiliano Lonzi, Stefano Fulceri, Marco Palandri, Anna Mancini, Stefano Lena e Alessandro Bertini. Sequestrat­e due aziende di Livorno attive nel settore del recupero e del trattament­o dei rifiuti, la Lonzi Metalli srl e la Rari srl. Da qui, secondo l’accusa, i rifiuti sarebbero transitati in due discariche del Livornese gestite da due aziende a partecipaz­ione pubblica, la Rea di Rosignano Marittimo e la Rimateria di Piombino. Tra i rifiuti tossici che arrivavano in discarica come «ordinari e innocui», c’erano stracci imbevuti di sostanze tossiche, filtri per olio motore e toner. Nelle discariche entravano camion carichi ad altissimo rischio ambientale e per la salute pubblica e ne uscivano puliti, come se quei siti fossero l’esempio più virtuoso di ecologia. Il business superava i 26 milioni di euro con una truffa per la Regione Toscana di almeno 4 milioni.

C’erano connivenze? I sospetti ci sono. Tanto che nelle richieste di custodia cautelare il pm sostiene che «uno dei meccanismi di autotutela attivati dall’associazio­ne criminale è proprio quello che prevede sistematic­he pressioni su soggetti legati alle istituzion­i per indurli a captare notizie utili su eventuali indagini o comunque suggerimen­ti per eluderle». E adesso si cerca di capire bene chi siano questi personaggi così accreditat­i.

Ci mancavano anche i bambini che vanno all’ospedale Che muoiano, m’importa niente dei bambini che si sentono male: io li scarichere­i in mezzo alla strada i rifiuti L’inchiesta Sarebbero decine le aziende italiane che ripulivano i loro rifiuti in un paio di ditte toscane

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