«Nino era una grande persona, non fu capito Ho voluto raccontare la nostra storia d’amore»
e sorprese arrivano alla fine. È successo con Giana Petronio, vedova di Beniamino Andreatta, economista, politico, e più volte ministro. Nell’accogliente abitazione di Bologna, ricca di libri e foto ricordo, l’intervista è alla conclusione. Siamo alle chiacchiere prima del congedo. Giana, psicanalista («in pensione, ma ricevo ancora qualche paziente»), è una signora elegante, di charme. Che ti racconta i momenti più duri della sua vita ma anche gli entusiasmi e le gioie, con tono misurato. Garbo, cultura, stile. La confidenza che non ti aspetti entra per caso nel discorso: «Da qualche anno prendo lezioni di tango argentino… Mi coinvolge, mi rilassa. E intanto imparo il “castellano”, lingua leggermente diversa dallo spagnolo. Il maestro viene a casa, talvolta c’è anche una mia amica». Danza figurata, linguaggio corporeo, ohibò. Ci mostra una foto, presa di spalle: lui e lei mentre provano. Poi ci sono le scarpe, adatte al tipo di ballo. Ammucchiate nell’angolo di una stanza attigua al salotto. «Ne ho una ventina», dice. Sorride: «Ballare mi è sempre piaciuto, a Nino no. Si sacrificava, ma era goffo nei movimenti».
Il titolo del primo libro di Giana Petronio — «È stata tutta luce» (Bompiani) — è tratto da una frase del diario di Ada Gobetti. Nelle intenzioni dell’autrice lo scritto doveva rimanere privato, un «dono» da lasciare ai quattro figli. Una memoria di sé e dell’importante rapporto con il marito, intenso e intatto dall’inizio alla fine. Fortissimo durante i sette anni del coma irreversibile («un arresto cardiaco, a Roma, la crudele notizia ricevuta al telefono dalla Camera dei Deputati») che si è portato via lentamente Beniamino Andreatta, deceduto nel marzo del 2007. «Come può immaginare, la mia vita è cambiata di colpo – dice Giana –. E quando il filo si è spezzato definitivamente, di più. Ma Nino è rimasto con me in altro modo. Certo, mi manca tutto di lui; eppure ha lasciato molti segni della sua presenza. È dentro di me, è parte della mia esistenza. Una fusione che non si può sciogliere».
Il libro, dunque, fissa le tappe di una vita e di un amore. «Era il mio diario – spiega –. Poi, alcuni amici fidati, dopo averlo letto, mi hanno convinto al passo ulteriore. È stato pubblicato la scorsa primavera». Racconto avvincente di una coppia solida, innamorata, unita da affinità elettive. Di una bella famiglia. Giana puntualizza: «C’è dell’altro. Attraverso le mie pagine, mi premeva restituire a mio marito il dovuto risarcimento morale. Nino era una grande persona, un cattolico progressista, un politico illuminato e lungimirante. Non fu compreso fino in fondo. Anzi. Lui non se la prendeva. Di fronte ai torti, piccoli o grandi, lasciava correre, io no. Ad esempio a mio avviso la politica e il mondo universitario gli hanno reso molto meno di quanto lui abbia dato loro».
La relazione di coppia comincia sul finire degli anni Cinquanta del ‘900. È una storia di altri tempi. «È vero – ammette –. Ma in ogni tempo c’è una storia d’altri tempi. A cominciare da Abelardo ed Eloisa». Già, il filosofo e la fanciulla, coppia amorosa che infiammò l’Europa del Mille, fissata nell’immaginario collettivo al pari di altri amanti della Storia. È il 1957 quando Giana, studentessa di Scienze politiche alla «Cattolica», incontra Nino Andreatta (maggiore di dieci anni), quotato studioso di Economia. Per lei è quasi un colpo di fulmine. La corrispondenza di amorosi sensi fra i due si realizzerà dopo numerosi incontri, spettacoli teatrali, visioni al cinema, soste nelle librerie, musica. «L’età dell’oro a Milano — ricorda —. La città, vera capitale morale d’Italia, a quel tempo offriva stimoli diversi, e opportunità». «Nel rapporto di coppia — confida Giana Andreatta — l’attrazione passa per gli ideali, i valori condivisi, perfino le radici comuni. Austroungariche, nel nostro caso. Nino è nato a Trento, io a Trieste. Poi, ci sono gli interessi, i gusti, anche quelli minuti».
Una bella famiglia Il sesso
Scusi, e il sesso? «Certo, il sesso conta, anche l’unione fisica si è rafforzata nel tempo». Proprio nulla di insopportabile in suo marito? «Insopportabile, no. Qualche cosa che mi infastidiva, sì. All’inizio della nostra unione, da fidanzati, mi sembrava che Nino si comportasse da personaggio. Divertiva la platea degli amici che vivevano “di” lui, non “con” lui. Più tardi ho capito che la sua persona coincideva con il personaggio, e me ne sono fatta una ragione». «Era un tipo distratto nella vita quotidiana, Nino — continua —. Per dirne una, apriva l’acqua della vasca, si scordava di chiuderla e allagava regolarmente il bagno. Poi aveva l’abitudine di mettere in tasca i mozziconi del sigaro. Insomma, cose così». Giana preferisce ricordare i viaggi con Nino («all’inizio non lo seguivo, badavo soltanto alla mia professione di psicanalista») che le hanno permesso di conoscere Paesi e persone. «Esperienze interessanti e importanti». Vita vissuta accanto a un politico, a un ministro della Repubblica di un’altra epoca. Oggi come la vede? Giana Petronio abbandona il linguaggio misurato e risponde: «Uno sfascio.