Corriere della Sera

Copenaghen, il gelido segreto di una città felice

Dicembre è il mese migliore per visitarla tra super ristoranti e alberghi di design

- Stefano Landi

come il fuoco di un camino. Si chiama «Hygge», si pronuncia «huga», grattando abbastanza sulla G. Quello che in Italia si potrebbe tradurre in un senso molto comodo «piacerone». Per i danesi la ricetta è una specie di specialità della casa. Un’atmosfera da ricreare attraverso poco regole: azzerare i pettegolez­zi, lo stress del lavoro per coccolarsi attraverso pensieri positivi. E il mese ideale per l’Hygge è proprio dicembre, quando Copenaghen si colora con buon anticipo di tinte natalizie. In strada si gela e si viene presi a schiaffi dal vento del Nord, ma si può bere acquavit al parco Tivoli, trasformat­o nella cittadella di Babbo Natale, chiudersi a bere birra tostata al caffè da «Coffee Collective», a comprare vinili da Beat o fare affari alla Fashion Library, che funziona con lo stesso principio di una biblioteca ma si prendono in prestito vestiti.

Oppure si può mangiare al mercato, un po’ come si fa in Spagna. E chi se ne importa se ci sono una ventina di gradi in meno. A Torvehalle­rne si moltiplica­no le bancarelle gourmet. Da Unika, vengono gli chef stellati a comprare formaggi. Tutti a centimetro zero, dato che in Danimarca su certe cose non si può bleffare: nessuno ti chiede il prezzo, ma da Al gelo Un’immagine di Copenaghen, città a metà tra la Parigi bohémienne e l’atmosfera montana che mucca arriva. L’hanno ribattezza­to «comfort food», quello rigorosame­nte bio che ti fa sentire a casa. Quello che ha ispirato il corner gastronomi­co che Trine Hahnemann, scrittrice e blogger amatissima in patria ha inaugurato due settimane fa. Ricette della nonna servite con un occhio all’estetica. Perché a Copenaghen fino a pochi anni fa non si usava nemmeno andare al ristorante. Li lasciavano ai turisti: meglio le cene a casa, molto più cozy. Oppure quelle condivise: come succede da Absalon, una chiesa sconsacrat­a trasformat­a in spazio per «social dinner». Poi però un occhio alla cucina glam lo si dà sempre. A febbraio inaugurerà il nuovo Noma dello chef a tre stelle Renè Redzepi ed è già sold out per i primi tre mesi.

Anche i boutique hotel che aprono strizzano l’occhio a quel clima a metà tra la Parigi bohémienne e la baita di montagna. L’ex ballerino di danza classica Alexander Kolpin ha inaugurato ai primi di novembre il suo Sanders, mentre il Danmark col suo jazz club e la collezione di design in vendita è entrato nell’ultima short-list di Wallpaper. Il Radisson Blue Royal, fresco di restauro, ha puntato invece sulle forme di Arne Jacobsen, il dio dei designer locali. L’altra novità è la Steel House, un ostello next generation con micro camere e grandi comfort comuni.

Il nuovo rinascimen­to della città si respira dalle parti di Vesterbro, il quartiere dove i ragazzi lavorano con una birra media davanti, scambiando­si idee imprendito­riali. La startup più geniale dell’anno è per distacco quella di Ole Agnholt Markdal: «A Copenaghen c’è tanta acqua pulita anche nei canali del centro della città. Un peccato usarla tutta per scopi industrial­i». Così si è inventato CopenHot, una flotta di barchette galleggian­ti trasformat­e in saune e vasche calde a pelo d’acqua (gelida). Ci stanno fino a 12 persone, anche di sera col buio e il gelo intorno. Candela, ostriche e bottiglia di champagne: più «Hygge» di così.

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