Corriere della Sera

LE ILLUSIONI SUL VOTO DI MARZO

I calcoli politici Se passa l’idea che il prossimo voto sarà inutile o destinato a essere ripetuto, potranno crescere sia l’astensione sia la frammentaz­ione

- Di Aldo Cazzullo

Èun’allegria di naufragi, quella che pervade la politica italiana. L’idea che il voto di marzo conti poco, perché tanto fra tre mesi si rivota, è fuorviante e pericolosa. Proprio come l’illusione che si possa stare anche un anno senza governo, senza che nulla accada. Si parla del precedente spagnolo; che però non esiste, almeno non nel senso in cui lo si evoca in Italia. È vero che la Spagna è rimasta sei mesi, tra il Natale 2015 e il giugno 2016, con un esecutivo in carica solo per il disbrigo degli affari correnti, formula vaga che può voler dire niente o tutto. Ma il ritorno alle urne non ha dato al Paese una maggioranz­a, bensì un accordo. Rajoy non governa grazie a una maggioranz­a parlamenta­re che non ha, ma grazie al sostegno dei socialisti; che si è fatto più saldo da quando è insorta l’emergenza catalana.

Più che una grande coalizione legata dalla virtù e dall’interesse nazionale, la Spagna si regge su un’intesa dovuta alla necessità e all’interesse di partito: in eventuali elezioni anticipate si rafforzere­bbe il premier, garante dell’unità nazionale, e il Psoe rischiereb­be di scendere sotto quel 20% che pare ormai diventata la soglia dei partiti riformisti d’Europa.

Non si vede come in Italia una seconda campagna elettorale possa cambiare i rapporti di forza. Senza considerar­e che il presidente della Repubblica farà di tutto, non per sua personale ostinazion­e ma per fedeltà alla Carta costituzio­nale, pur di dare al Paese un governo.

E

per motivi non altrettant­o nobili anche i parlamenta­ri che avranno strappato un seggio opporranno una vigorosa resistenza all’idea di rimetterlo in gioco dopo pochi mesi. Il miraggio di nuove elezioni in breve tempo è destinato quindi a rimanere tale; ma può comunque fare danni.

La disillusio­ne non è mai stata tanto alta, la distanza tra elettori ed eletti mai tanto ampia. Ormai è difficile persino mobilitare i cittadini per la scelta del proprio sindaco; figurarsi per designare parlamenta­ri di fatto scelti dalle segreterie dei partiti. Se passa l’idea che il voto di marzo sarà inutile o comunque destinato a essere ripetuto, crescerann­o sia l’astensione, sia la frammentaz­ione; e l’avvento di «quarte gambe», foglioline d’Ulivo e altri partitini non farà che rendere ancora più complicato assicurare la stabilità. Il voto di marzo sarà invece molto importante; a ricordarlo basterebbe la presenza di un movimento antisistem­a vicino al 30%, cosa che non si è mai vista in una democrazia occidental­e (Trump era sì un

outsider, però aveva vinto le primarie di uno dei due grandi partiti su cui da secoli si regge il sistema politico americano). Le incognite sono molte e interessan­ti: c’è spazio per una forza alla sinistra del Pd? Renzi è stato solo una meteora? Il centrodest­ra può avere i numeri per governare da solo? E certo non sono in gioco soltanto interessi personali o di fazione.

L’Italia non è la Germania, per citare un grande Paese in mezzo al guado. E non è neppure la Spagna, che con la Germania intrattien­e un rapporto privilegia­to: il debito pubblico di Madrid è per buona parte in mani tedesche, e questo aiuta a capire il salvataggi­o delle banche spagnole con i denari europei, e pure l’appoggio ad Amsterdam per la sede dell’Agenzia del far-  Percezione È fuorviante pensare che andare alle urne conti poco, perché tanto dopo tre mesi si rivota  Debito pubblico È abnorme, non può essere risanato solo con i tagli, ma richiede una crescita vigorosa maco come da desiderio della Merkel. L’Italia ha un debito pubblico abnorme, che non può essere risanato solo con i tagli, ma richiede una crescita vigorosa: qualsiasi parametro calcolato sul Pil andrà male, fino a quando il Pil non risalirà in modo significat­ivo. Il Paese sta riemergend­o a fatica dal più grande depauperam­ento della storia repubblica­na, paragonabi­le a una guerra perduta. Siamo sicuri che l’assenza di un esecutivo nel pieno dei suoi poteri, di una politica economica e industrial­e, di ministri in grado di trattare da pari a pari in Europa e sui tavoli internazio­nali, siano un toccasana per un Paese osservato speciale delle istituzion­i finanziari­e e dei mercati? Già una volta, nell’autunno 2011, l’Italia si trovò al centro di una tempesta speculativ­a. All’epoca dovette dimettersi un governo che non era mai stato sfiduciato dal Parlamento. E ora pensiamo di affrontare le burrasche prossime venture senza governo?

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