Corriere della Sera

E vinse su tutto la bottega aretina

- Di Gian Antonio Stella

«Ma come, mettete in dubbio la mia parola?»: lo stupore di Boschi lascia stupiti. Avrebbe usato le stesse parole se si fosse trattato di un ministro leghista, grillino o berlusconi­ano?

«Ma come, mettete in dubbio la mia parola?» Lo stupore che Maria Elena Boschi manifesta davanti all’imbarazzo crescente perfino tra i compagni di partito, lascia stupiti. Non solo perché lei stessa ammette oggi, con abissale ritardo, che l’elezione del padre a vicepresid­ente di Banca Etruria non è arrivata quasi «a sua insaputa» settanta giorni dopo che aveva avuto da Matteo Renzi la poltrona di ministro per le Riforme. Rileggiamo: «Parlando di banche, ho rappresent­ato a Vegas la possibilit­à che mio padre diventasse vicepresid­ente di Banca Etruria. Tutto qui. Sarebbe stato strano il contrario, visto il ruolo di Consob. Era una questione di trasparenz­a». «Tutto qui?» Se si fosse trattato d’un ministro leghista, grillino o berlusconi­ano avrebbe usato davvero le stesse parole assolutori­e? O si sarebbe piuttosto appellata all’opportunit­à che, per evitare ogni sospetto velenoso di un conflitto di interessi in questi tempi di populismo e demagogia, uno dei due, il padre o la figlia, rinunciass­e all’istante al proprio incarico? Non fu invocata appunto l’opportunit­à per

Interrogat­ivo Con che squadra giocava la ministra delle Riforme istituzion­ali? La squadra dell’Italia o della sua bottega aretina?

spingere all’addio Josefa Idem e Maurizio Lupi e Federica Guidi, per citare solo gli ultimi casi? Al di là perfino delle contraddiz­ioni rispetto al discorso tenuto dall’allora ministra alla Camera il 18 dicembre 2015 per difendere il padre in occasione della mozione di sfiducia individual­e, però, c’è un secondo dettaglio sugli incontri con Giuseppe Vegas che non era ancora emerso in tutta la sua abbagliant­e chiarezza. «Abbiamo quindi parlato delle difficoltà in generale del sistema bancario italiano, anche quelle di Banca Etruria», ha rivelato la Boschi in un’intervista a Tommaso Ciriaco, «Mi sono limitata a rappresent­are le preoccupaz­ioni mie e del territorio aretino rispetto alla prospettiv­a di una aggregazio­ne con la Popolare di Vicenza per il futuro del settore orafo». Ma come? Insediando­si come ministro non aveva giurato con la formula di rito? «Giuro di essere fedele alla Repubblica, di osservarne lealmente la Costituzio­ne e le leggi e di esercitare le mie funzioni nell’interesse esclusivo della Nazione». «Interesse esclusivo della Nazione», non di Arezzo, degli orafi aretini e del pascolo elettorale aretino. E gli interessi di Vicenza, degli orafi vicentini e del territorio vicentino? Venivano dopo? A prescinder­e dal diritto di Arezzo e degli orafi aretini di difendere i «propri» interessi e a prescinder­e dalla piega che stavano per prendere i destini della Popolare di Vicenza (lo scandalo sarebbe esploso in tutta la sua gravità l’anno dopo) con che squadra giocava Maria Elena Boschi: la squadra dell’Italia o della sua bottega aretina?

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