Il piano per farlo a pezzi nella camera della morte ispirandosi alla fiction tv
Milano, gli aguzzini di La Rosa cercavano in rete come eliminarlo
Hanno ammazzato e mentito. Ha mentito Antonietta Biancaniello e non soltanto perché s’è assunta l’intera colpa: fermata alle 11 di giovedì sulla superstrada Milano-Meda allo svincolo di Varedo, con il cadavere di Andrea La Rosa nel bagagliaio della Lancia Y all’interno di un bidone blu da duecento litri, aveva ripetuto che il fusto conteneva gasolio. E ha mentito Raffaele Rullo: aspettava la madre in un box di Seveso con 24 flaconi di acido muriatico per sciogliere il corpo dell’ex calciatore scomparso il 14 novembre. Anziché la donna si erano presentati gli investigatori, i quali gli avevano riferito cosa avevano trovato sulla macchina. Lui aveva finto un’aria da duro ma poi gli si erano bagnati i pantaloni come un bambino.
Cellophane e motosega
Due balordi forse già «uniti» in un traffico di auto per truffare le assicurazioni. Una madre 59enne, vedova. Un figlio 35enne, tecnico informatico, due piccole e una moglie che sapeva («Non sei da solo, fossi da solo ammazza le persone, bruciale...» urlava intercettata). Biancaniello e Rullo si sono aiutati in un piano premeditato. Con uno studio in Rete e informazioni sui casi di cadaveri sciolti nell’acido a cominciare da Giuseppe Di Matteo per ordine di Totò Riina, e sui calcoli del rapporto tra altezza e volume corporei per calibrare le quantità necessarie di liquido. Un piano che si è ispirato alle serie televisive. La cantina dove La Rosa, socio di un’azienda di consulenza, è stato assassinato, è apparsa un’emulazione di «Dexter», che racconta di un esperto forense di tracce ematiche divenuto serial killer. Sui muri della cantina 29, che non appartiene ai Rullo ma a un vicino, resistono i segni dello scotch che univa i cellophane appesi per non macchiare le pareti di sangue. Siamo in fondo a un corridoio nella pancia del palazzo popolare di via Cogne 20, a Quarto Oggiaro. Qui è stato ucciso La Rosa, 35 anni, «agganciato» da Rullo mentre, ben vestito e con un Rolex al polso, cenava con la fidanzata Serena, ex hostess, donna dai contatti occasionali. Per esempio con lo stesso assassino.
L’ultimo sms
Sembra che La Rosa, che aveva prestato a Rullo 38mila euro non restituiti, sia stato narcotizzato e soffocato, dopo un appuntamento al McDonald’s di viale Certosa. Aveva paura di quell’incontro, Andrea. A un amico aveva inviato un sms: «Se mi rapiscono sai dove sono». Il taglio alla gola sarebbe il segno di un tentativo di smembrare il cadavere. Biancaniello e Rullo avevano comprato una motosega. Forse, dopo quell’incisione sul collo della vittima, si erano spaventati. Il progetto iniziale non prevedeva alternative: fare a brandelli il corpo e scioglierlo nell’acido. Per un mese, quel bidone con il cadavere era stato conservato in un’officina di via Litta Modignani. Seppur sigillato con il nastro adesivo, emanava un odore tremendo. Il proprietario del deposito aveva sollecitato madre e figlio per portarsi via il fusto. I due avevano semplicemente preso atto. Con un’atroce naturalezza. Raccontano i carabinieri della Omicidi: «Biancaniello ha fermato l’auto in doppia fila, è scesa, ha bevuto un caffé e ha fumato lentamente, lasciando il bidone sui sedili coperto da un cartone».
Carezze dopo la morte
Trasferita in caserma, Biancaniello aveva tolto il cappotto e l’aveva gettato su un sedile: «Aprite pure il fusto. Io mi avvalgo della facoltà di non rispondere». Il suo successivo interrogatorio è stato breve, una ventina di minuti. Venti minuti di menzogne: «La Rosa mi ha minacciata. “Stia attenta, io lo so dove abita lei e suo figlio”. Gli ho detto che dovevo andare in cantina a fare ordine. L’ho attirato con un tranello. Ho preso un taglierino o un coltello dalla tasca e l’ho colpito al collo. Dopo sono andata a casa, mi sono fumata le mie sigarette e ho pensato che così mio figlio era tranquillo. Ho salutato le ceneri di mio marito, la foto di mio padre, di mio suocero. E ho accarezzato mia figlia Sara che dormiva».