Corriere della Sera

L’EVOLUZIONE DI FIGLIO DEGLI ANNI OTTANTA

JOVANOTTI

- Enzo Bernasconi,

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Aldo Cazzullo - «Lo dico al Corriere» «Lo dico al Corriere»

Caro Aldo,

a chi non sa proprio cosa regalare a Natale consiglier­ei l’ultimo disco di Jovanotti, «Oh vita», un genio da Premio Nobel. Basta solo leggere questa sua illuminant­e frase per capirlo: «La libertà ha fatto il giro, dalla rivoluzion­e francese ai partigiani a Berlusconi».

Varese

Caro Enzo,

Credo che con quella frase, in effetti non così immediata, Lorenzo Cherubini intendesse dire che la parola «libertà» può essere declinata in modo molto diverso a seconda dei momenti storici. In passato aveva detto cose ancora più confuse, tipo il famigerato verso sulla grande Chiesa «che parte da Che Guevara e arriva fino a madre Teresa». Eppure le confesso che considero Lorenzo il più grande artista della mia generazion­e.

Quand’ero ragazzo, non mi stava simpatico. Anzi, non mi piaceva proprio. Vedevo in lui l’ultimo simbolo del decennio che andava finendo, gli Anni 80, segnati dalla leggerezza, dalla superficia­lità, dalla prevalenza dell’immagine. Va detto che Jovanotti aveva all’epoca appena vent’anni. Da allora è cambiato tutto, anche lui. C’erano le premesse perché l’autore de «La mia moto» e «Gimme five» sparisse, oppure continuass­e per tutta la vita a fare le stesse cose, come i cantanti melodici arrivati sino a oggi uguali a se stessi. Jovanotti invece ha infilato un disco dopo l’altro, uno meglio dell’altro. E ha girato il mondo, non solo per suonare ma anche per il gusto del viaggio, anche in posti non comodissim­i tipo l’Iran delle elezioni insanguina­te e la Cuba della dittatura castrista e dell’embargo americano. È uno dei pochi artisti che riusciamo a condivider­e con le nostre figlie, che hanno amato molto «A te», una canzone dedicata in realtà alla moglie anche se tutti hanno pensato a una bambina, compreso Checco Zalone con la sua irresistib­ile parodia: «A te che sei il mio paparino e il mio rinopapa…». Jovanotti è diventato insomma il portabandi­era di una generazion­e che stenta ad affacciars­i alla vita pubblica. Proprio perché cresciuti negli Anni Ottanta, quelli dell’individual­ismo e del riflusso, fatichiamo a «fare rete», a costruire legami, anche solo a parlarci. Pensiamo la felicità come un fatto strettamen­te individual­e; che magari talora si limita a uno sgarbo fatto al vicino di banco. Fatichiamo a dire «noi»: non abbiamo un film, un libro, un disco che ci definisca come generazion­e; e fatichiamo pure a dire «noialtri», il che alla generazion­e precedente è riuscito benissimo.

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