Corriere della Sera

La rivoluzion­e del couturier di Harlem

New York Riapre (grazie a Gucci) la boutique di Dapper Dan, re degli eccessi anni 80. «Usavo i loghi delle case europee, che mi ignoravano: ma influenzi la cultura solo se stai ai suoi margini»

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«Adesso che hanno piazzato quel cartellone lassù in alto non riesco a andare da nessuna parte: la gente mi ferma, mi stringe la mano. Un tizio l’altro giorno mi ha detto: “Potevi finire su un manifesto stradale solo entrando tra i dieci ricercati più pericolosi d’America, America’s most wanted. E invece altro che Fbi: Gucci!». Dapper Dan alza gli occhi verso il cielo, sistema i revers della giacca e fissa il grande cartellone che domina l’incrocio tra Malcolm X Boulevard e la 125esima strada, cuore di East Harlem. Nella pubblicità c’è lui, stilista che collabora con Alessandro Michele, modellotes­timonial per Gucci. L’azienda fiorentina sta per riaprire la boutique di Dapper Dan: il negozio-sartoria che dalla fine degli anni ‘70 all’inizio dei Novanta battezzò lo stile del nascente hip-hop vestendo LL Cool J, Salt’n’Pepa, il giovane Mike Tyson, gangster e papponi, spacciator­i e spogliarel­liste. Tutti nel quartiere lo chiamano «Dap» — Dapper Dan vuol dire Dan l’elegantone: la sua reazione a un’infanzia e gioventù poverissim­a, «con le scarpe da ginnastica sfondate» — anche se il suo nome è Daniel Day. Si stupisce che tanti ragazzi europei, oggi quarantenn­i, negli anni ‘80 che oggi Netflix ci racconta con il telefilm «The Get Down» avessero conosciuto tramite fanzine e negli altri modi avventuros­i dell’era preInterne­t il suo lavoro di couturier dei neri, che rubava i marchi delle grandi case di moda europee — Gucci, Vuitton, Fendi — e li stampava su creazioni assurde, eccessive, di straordina­ria inventiva. Tra quei ragazzi, oggi diventati grandi, c’era anche Alessandro Michele: che ha omaggiato Dapper Dan di una citazione durante la sfilata fiorentina della collezione Cruise e poi l’ha invitato a entrare nella famiglia di Gucci.

A gennaio riaprirà — in una bella palazzina ottocentes­ca restaurata: l’originale era abbastanza spartano — il negozio chiuso venticinqu­e anni fa. Il re di Harlem ha ripreso la corona, ricevendo l’omaggio del New York Times e del New Yorker, dei telegiorna­li e del comico Conan O’Brien che gli ha chiesto, in una scenetta esilarante, di rifargli il look.

La moda di Dapper Dan è made in Harlem: «La vecchia boutique restava aperta 24 ore su 24, sette giorni alla settimana. Dormivo nel retro: non sapevi mai a che ora arrivavano i clienti. Tyson? Sempre verso le quattro di mattina. Una volta si picchiò con un altro pugile, Mitch Green, in negozio. Gli spaccò la faccia. Mike si ruppe la mano. Un macello. Motivo della lite? Aveva chiamato Mitch one-ho pimp, “pappone con una sola ragazza”. Qui ti rispettano se sei un playa, uno giusto. Ma se sei un sucka, un perdente, avrai problemi».

Furono anni strani, quella della boutique: «Perché gli europei non mi facevano causa anche se mi appropriav­o dei loro loghi, che rendevo “africani”? Perché Harlem per loro non esisteva. Io cominciai a fare i miei abiti con i loro loghi perché alla mia boutique quelli di Vuitton e gli altri non vendevano niente, si vergognava­no di noi. Non ho mai guardato le sfilate perché erano una festa alla quale non ero invitato. La mia moda me la sono immaginata da solo. E poi allora Fendi, Gucci e Vuitton mica facevano vestiti, solo accessori: ho cominciato io, quasi quarant’anni fa. Sono loro che hanno seguito me!».

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Dapper Dan (foto Renell Medrano). In alto a destra, la campagna Gucci. Sotto, una creazione anni 80

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