Corriere della Sera

Se il museo della felicità rende tristi

- Di Costanza Rizzacasa d’Orsogna

l’ultima di una serie di installazi­oni pop-up, come il Museum of Ice Cream e Color Factory, ottimizzat­e per Instagram. Happy Place, il museo della felicità a misura di selfie, aperto a Los Angeles a fine novembre. Biglietti da $28,50; $199 il pacchetto vip. «Lasciate ogni tristezza, voi che entrate», dice un video. «Niente pensieri, niente lacrime». C’è un tacco alto due metri con 200mila M&M’s, panini al formaggio arcobaleno. La stanza piena di coriandoli e la camera da letto capovolta. Puoi arrampicar­ti su un’enorme torta e saltare in una pentola di monete felici. C’è il campo di calendule finte. «Celebra ogni giorno».

Ma che succede se il museo della felicità ti rende triste? È ciò che, riferisce Vice, moltissimi lamentano sui social. «Le stanze non sono più luminose del solito, hai bisogno dei filtri», scrive una ragazza venuta apposta da Chicago. «Il museo della felicità ti mette un’angoscia profonda». Un’altra, in una diretta Instagram, racconta d’aver fatto la stessa foto 30 volte. «Perché non mi sento felice? Aspetta, riprovo».

È la tirannia dello smile. Quella di bestseller come Felicità garantita e Il vantaggio della felicità. La felicità obbligata, che non è solo a Natale. Oltre metà delle aziende americane costringe i dipendenti a mostrarsi sempre sorridenti. A Google c’è il responsabi­le allegria, a Uber un autista di malumore riceve giudizi negativi. Per entrare a Happy Place bisogna scavalcare i senzatetto, l’uscita dà sul club della pistola. Don’t worry, be happy.

CostanzaRd­O

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy