I casi /1
Mezzo millennio per tredici cognomi: in Italia tredici piccoli banchieri locali — a volte, con l’aiuto delle loro dinastie — esprimono per la precisione 446 anni di potere sull’allocazione del credito a famiglie e imprese. Se solo la Commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche non si occupasse quasi solo di regolamenti dei conti politici, scoprirebbe forse che le cause profonde delle perdite subite dai risparmiatori non vanno cercate in qualche incontro riservato o complicità fra alte cariche istituzionali.
La pistola fumante è sotto gli occhi di tutti: sono i rapporti di potere locali, ossificati e debilitati dai conflitti d’interesse resi endemici dal tempo, che congelano per decenni il governo di gran parte delle banche finite in dissesto e di molte altre.
Quando per esempio nel luglio del 2015 lascia travolto dal naufragio dell’azienda e dai suoi stessi abusi, Vincenzo Consoli guida Veneto Banca da 17 anni. Quando tre mesi dopo si dimette dalla presidenza della Popolare di Vicenza, affondato dal dissesto e dalle inchieste, Gianni Zonin ha 77 anni e gli manca poco per completare vent’anni di potere nell’istituto. A Carige Giovanni Berneschi ha regnato per un quarto di secolo — direttore generale, poi amministratore delegato — prima di lasciare a 76 anni una banca in ginocchio e subire a una condanna per associazione a delinquere.
I banchieri-matusalemme d’Italia ovviamente non finiscono qui. Sembra quasi un principiante Massimo Bianconi, che guida Banca Marche (verso il crac) per appena undici anni e mezzo. Lo sembra a confronto di Denis Verdini, per vent’anni presidente del Credito cooperativo fiorentino e di recente condannato in primo grado a 9 anni per bancarotta. E a sua volta il senatore del gruppo Ala viene battuto dal cardiologo Leopoldo Costa, per 25 anni uomo forte della Banca padovana di Campodarsego