Corriere della Sera

La storica Aga Rossi «Nessun riscatto per un monarca inerte complice del regime»

- di Antonio Carioti

«Dal delitto Matteotti in poi, cioè dal 1924, Vittorio Emanuele III non dimostrò alcuna capacità d’iniziativa autonoma rispetto a Mussolini: va considerat­o correspons­abile di tutte le scelte politiche compiute dal regime fascista», dichiara al Corriere la storica Elena Aga Rossi, autrice del saggio Una nazione allo sbando (il Mulino) sull’armistizio del 1943.

«Solo quando fu chiaro che la guerra era perduta — prosegue la studiosa — il re si dissociò tardivamen­te da Mussolini, ma il suo comportame­nto irresponsa­bile portò al disastro dell’8 settembre. A 70 anni dalla morte di Vittorio Emanuele III, non credo si debbano sollevare obiezioni sul ritorno della salma in Italia, ma trovo inaccettab­ile l’ipotesi che gli si rendano pubblici onori attraverso la sepoltura in un luogo significat­ivo per la storia nazionale come il Pantheon. Ritengo quindi giustifica­ta l’inquietudi­ne delle comunità ebraiche».

Partiamo dalle premesse della catastrofe: «Sotto il regime si creò una sorta di diarchia, che però vedeva il duce prevalere sul re, che sottoscris­se persino le leggi razziali del 1938 e avallò l’intervento nella Seconda guerra mondiale. Ma neanche le sconfitte terribili subite dalle forze italiane tra la fine del 1942 e l’inizio del 1943, in Africa e in Russia, bastarono a scuotere l’inerzia del sovrano, nonostante le pressioni degli oppositori del regime e anche di alcuni esponenti del fascismo, come Dino Grandi».

Fu proprio in seguito a un’iniziativa di Grandi, ricorda Aga Rossi, che Mussolini venne esautorato, arrestato e sostituito con Pietro Badoglio, nel luglio 1943: «Ma il governo e il re, che pure era il comandante supremo delle forze armate, non fecero nulla per prepararsi a fronteggia­re le conseguenz­e dell’armistizio che stavano trattando. Era evidente che la Germania avrebbe reagito con la forza, ma non si cercò di coordinars­i con gli Alleati, che erano pronti a mandare truppe aviotraspo­rtate per aiutarci a difendere Roma dai nazisti. Ancora la mattina dell’8 settembre, il giorno in cui nel pomeriggio la resa italiana venne annunciata dagli angloameri­cani, i nostri aerei decollaron­o in missione contro gli Alleati».

Poi la fuga del 9 settembre: «Il re si precipitò con Badoglio a Pescara e poi a Brindisi, lasciando senza ordini le forze armate, in Italia e all’estero. C’erano sei divisioni intorno a Roma che restarono inerti. E l’esercito finì per dissolvers­i quasi ovunque di fronte ai tedeschi. Gli episodi di resistenza furono il prodotto di iniziative locali. La resa agli Alleati era inevitabil­e, ma il modo in cui venne gestita portò al collasso dello Stato, mandò allo sbaraglio un’intera nazione. Perciò nella memoria storica la figura di Vittorio Emanuele III non può essere in alcun modo riscattata».

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