Nel 2015 i ritardi del Parlamento nell’applicare le nuove norme Ue furono un ingrediente chiave dell’anno orribile dei fallimenti
Concentrati sugli incontri segreti, i parlamentari della commissione sulle banche rischiano di perdersi un passaggio: anche loro, gli inquisitori, meritano un posticino al banco degli imputati nell’inchiesta sui dodici mesi che hanno cambiato il mondo del credito. Dopo gli eventi fra il novembre 2014 e il novembre 2015, niente tornerà come prima. Ma i deputati e senatori che ora cercano il colpevole potrebbero incalzare, fra i tanti, se stessi: i loro ritardi nell’applicare le nuove norme europee sulle banche sono un ingrediente del pasticcio che il 22 novembre 2015 portò al fallimento di Banca Etruria, Banca Marche, Carife e Carichieti.
Furono dodici mesi densi. Furono la storia di come un cambio d’epoca, dai poteri romani all’Unione bancaria europea, può portare alla luce impreparazione e terribili malintesi. Quell’anno che cambiò l’Italia si apre l’11 novembre 2014 ad Arezzo con due episodi: il consiglio di Banca Etruria «comunica il proseguimento» — si legge in bilancio — della caccia a un acquirente; la banca aveva appena respinto l’offerta della Popolare di Vicenza, ma cercava un compratore disperatamente e invano. Il suo capitale è già sotto i minimi legali. Per questo poche ore dopo la Banca d’Italia si presenta e avvia la seconda ispezione in due anni. I vertici di Etruria rischiano nuove sanzioni pecuniarie, dopo averne pagate per 2,5 milioni mesi prima.
Sul secondo snodo di quella fase si agitano molti sospetti: il 20 gennaio 2015 il governo di Matteo Renzi, con Maria Elena Boschi ministro delle Riforme, vara il decreto che prevede la trasformazione in società per azioni delle 10 banche popolari con attivi in bilancio oltre gli 8 miliardi. Molti pensano che quella soglia sia fissata proprio per includervi (penultima) Etruria, di cui è vicepresidente il padre della Boschi. Ciò poteva salvare l’istituto, aprendo il capitale. Però quest’accusa è fuori luogo. Il limite degli 8 miliardi, indicato dal Tesoro, è la soglia naturale che separa le 10 grandi popolari dalle 50 più piccole (l’undicesima, Cividale, risulta già molto staccata con attivi per 4,1 miliardi).
Quel decreto comunque non salverà i manager di Etruria. Senza avvertire in anticipo il governo — sarebbe stato un reato per chi dà e per chi riceve la notizia — Banca d’Italia commissaria l’istituto di Arezzo l’11 febbraio.