Corriere della Sera

ENZO BIANCHI

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1951, a 32 anni, quando io ne avevo otto. L’anno dopo al Galliera di Genova cominciaro­no a operare la stenosi mitralica, di cui soffriva».

Altre donne?

«Elvira, la maestra, che chiamavo Etta. E Norma, la postina, detta Coco perché usava la coccoina, la colla: chiedevo di andare da lei per attaccare i pezzi colorati. Tutte e due molto credenti, molto diverse, mi hanno mantenuto agli studi e mi hanno permesso di viaggiare».

Fidanzate?

«Sui vent’anni ho avuto due ragazze con cui c’è stato un rapporto di giovani innamorati. Si sono sposate, ci vediamo ancora quando vengono a trovarmi a Bose».

Nessuna, dopo, l’ha mai fatta vacillare nella scelta monastica?

«No, dopo che ho preso la decisione non ho mai più avuto tentazioni di lasciare il celibato».

Però in passato ha dichiarato di aver sentito la mancanza di un figlio.

«Sì, l’ho sentita qualche volta come una nostalgia impossibil­e».

Tornando indietro ne adotterebb­e uno?

«No, nella vita monastica non si dà un legame di quel tipo. Per un figlio bisogna avere caratteris­tiche paterne e assicurarg­li una madre: non sarebbe nella mia storia e nella mia verità».

Le donne sono importanti a Bose?

«Siamo fin dall’inizio una comunità di uomini e donne, e questo si deve a Maritè, Maria Teresa, la prima sorella».

A gennaio avete scelto un priore maschio.

«È sempre possibile che in una prossima elezione venga eletta una donna: non c’è assolutame­nte impediment­o. Le gerarchie restano parallele: il fratello priore non ha giurisdizi­one diretta sulle sorelle, che rispondono alla loro responsabi­le. Lo stesso varrebbe al contrario».

Dicono che le sorelle siano più sacrificat­e dei fratelli, a partire dall’abbigliame­nto.

«Questo non è vero. I lavori manuali sono condivisi e lo stesso gli impegni intellettu­ali. C’è magari chi è geloso e vorrebbe in altre comunità la libertà che c’è a Bose. Sull’abbigliame­nto, l’unica regola è vestire in modo semplice e con colori scuri, ognuno sceglie da solo».

Qual è la preghiera che le risuona di più?

«Signore Gesù Cristo abbi misericord­ia di me. Non ho tante cose da dire al Signore...».

Quale brano del Vangelo le piace di più?

«Quello che chiedo venga letto al mio funerale ed è il capitolo di Giovanni 21. Gesù chiede a Pietro: “Simone, mi ami più di tutte le tue cose?”. Gli incontri La carità Il giorno in cui la Chiesa ha organizzat­o la carità, il precetto dell’amore del prossimo si è indebolito Oggi non si apre più la propria casa agli altri, noi non mandiamo sms... Attenzione, traducono “mi ami più di tutti gli altri”, ma sarebbe vergognoso se Gesù mettesse in concorrenz­a Pietro con gli altri discepoli. Qui ci sono due verbi, agapao, ti amo, e fileo, ti voglio bene. Pietro risponde sempre ti voglio bene, lo stesso farò io quando mi sarà chiesto conto».

Perché non «ti amo»?

«Perché noi non conosciamo l’amore fino in fondo, a Gesù possiamo dire solo: cerco di volerti bene. Pietro sapeva di avere rinnegato Gesù tre volte, e io come posso dire di non averlo mai rinnegato?».

Quando?

«Gesù dice: avevo fame e non mi avete dato da mangiare; avevo sete e non mi avete dato da bere; ero malato e non mi siete venuti a trovare. Questi sono i peccati di omissione e io non posso dire di non averli fatti. Sono quelli che mi bruciano di più la lingua quando annuncio il Vangelo, perché dico agli altri quello che nella vita non sempre sono riuscito a fare».

Ha detto che siamo più propensi a dare 50 euro ai terremotat­i che a spenderne 10 per ospitarli in casa. Voi a Bose li avete ospitati?

«Terremotat­i no, ma da anni ospitiamo alcuni migranti. Di certo non inviamo sms con 1 o 5 euro, ma finanziamo progetti in Africa e borse di studio in Medio Oriente. Resto convinto che il giorno in cui la Chiesa ha organizzat­o la carità, a partire dal IV secolo, il precetto dell’amore del prossimo si è indebolito. Di recente ho scritto che i parroci non dovrebbero più organizzar­e cene per i poveri a Natale, ma chiedere a ogni famiglia di chiamarne uno alla propria tavola. Mio padre, socialista, non credente, non ha mai fatto la carità a un povero sulla porta, lo ha sempre fatto sedere alla nostra tavola, pure se era cencioso, puzzolente e scalzo».

Dove vorrebbe essere sepolto?

«In un luogo discreto senza che ci sia troppa memoria di me. In realtà da vent’anni c’è un accordo con il Cimitero dei servi di Maria a Monte Senario, vicino a Firenze. Ma oggi ho più dubbi, desidero un posto più semplice e comune».

Ha scritto decine di libri. Uno su tutti?

«Due. Pregare la parola, del ‘71: ha fatto scoprire la lectio divina.E Il pane di ieri, un libro di sapienza umana, pubblicato nel 2008».

Ora a cosa sta lavorando?

«A un testo sulla vecchiaia, che uscirà in primavera con il Mulino, dove annoto ciò che mi sembra necessario per viverla con gioia».

Quali segnali osserva su di sé?

A 9 anni portai a Pio XII una damigianin­a di vino del Monferrato Ratzinger? Un amico E Francesco ha portato una primavera in Vaticano

«Tanti. Il primo è l’udito: tre anni fa al mare i

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