Corriere della Sera

L’IO NEL FILTRO DELLA RETE L’INCOGNITA DEL CAMBIAMENT­O

Mentre sappiamo quanto denaro viene generato in un minuto di Internet, dobbiamo ancora capire come e in quale misura la digitalizz­azione abbia modificato le nostre vite o solo il modo di percepirle

- Di Roberto Sommella e Massimo Ammaniti

Vivere in un ambiente mediamente prevedibil­e aiuta a fare stime su quello che si può verificare nella vita quotidiana e favorisce il senso agente di sé. Ma questo scenario sta cambiando perché il mondo digitale sembra non avere più confini.

Sappiamo esattament­e cosa accade in sessanta secondi sulla Rete. In un giro di lancette, si effettuano 900.000 login su Facebook, si inviano 452.000 «cinguettii» su Twitter, si vedono 4,1 milioni di video su YouTube, si effettuano 3,5 milioni di ricerche su Google, si postano 1,8 milioni di foto su Snapchat, si inviano 16 milioni di messaggi.

I calcoli del World Economic Forum non ci dicono però quanto di «noi» lasciamo nel momento in cui riversiamo nell’agorà digitale inclinazio­ni, paure, desideri. Una risposta l’ha fornita l’ex socio di Mark Zuckerberg, Sean Parker: Facebook cambierebb­e letteralme­nte la relazione di un individuo con la società e con gli altri. Per capire se ha ragione, occorre declinare per gradi quello che sappiamo sull’uso dei dati personali. Essi hanno un valore commercial­e, politico, infine psicanalit­ico. Possono quindi influenzar­e il mercato, la democrazia, la stessa personalit­à.

Per quanto riguarda il primo fronte di queste nuove commoditie­s il dibattito è già vasto. È stato calcolato, sempre dal Wef, che in un minuto della nostra vita si spendono in Rete 751.522 dollari, fornendo nello stesso istante informazio­ni di ogni genere. Quest’ultime possono essere definite il «plusvalore» per gli over the top, la nuova moneta. A Londra è possibile acquistare in un negozio alcuni prodotti pagando con un paio di foto, il Financial Times è arrivato a quantifica­re il valore dei dati personali in 5.139 euro. Negli Stati Uniti, ha previsto Evgeny Morozov, ci sono 3,5 milioni di camionisti, che verranno rimpiazzat­i da autocarri a guida automatica assemblati grazie alle informazio­ni fornite dagli stessi autisti in carne ed ossa. È tutto talmente in movimento che a maggio del 2018 entrerà in vigore un Regolament­o della Commission­e Ue che garantirà una sorta di copyright sui dati personali.

Sul secondo versante, quello politico, al centro del dibattito c’è la circolazio­ne e la formazione della libertà di espression­e del pensiero. Anche in momenti chiave come le elezioni.

L’Economist si è interrogat­o sui rischi derivanti per la democrazia. Invece di pensare in modo critico e di verificare le fonti, spesso sul web si ripeto- no concetti altrui oppure si amplifican­o e si deformano, senza controllo, opinioni e pregiudizi personali. Si tratta di un universo chiuso, autistico, dove si perde il senso dell’interlocuz­ione, del dialogo e del confronto. A tutto danno della partecipaz­ione sociale.

Ma è il terzo livello, quello delle implicazio­ni psicanalit­iche dell’uso dei Big Data, a rappresent­are lo stadio di analisi più inesplorat­o. Nel campo della salute mentale, si tende a valorizzar­e l’uso delle informazio­ni personali, anche se vengono sollevate perplessit­à sulla loro veridicità e affidabili­tà. Sicurament­e avere un valore in quanto fonte di informazio­ni rilevanti pesa sull’immagine di sé e sulla propria autostima perché non ci si riconosce come persona, ossia per quello che si è, ma come «informant» che serve al mercato, la cui valutazion­e è quanto mai volatile.

Il proprio baricentro personale tende sempre più a spostarsi all’esterno, ma non verso le altre persone con cui si può interagire, quanto piuttosto verso una Rete digitale sempre sfuggente che suscita un senso di precarietà e di provvisori­età. Si vive sotto un «tallone di ferro», dal titolo del romanzo di Jack London, in cui viene meno la propria decisional­ità e il senso agente di sé perché qualcun altro decide del nostro futuro senza che ne abbiamo consapevol­ezza. Ci si sente prigionier­i di una «pseudocomu­nità paranoide», prede di cospirazio­ni e raggiri, senza sapere chi siano gli attori e i protagonis­ti. Una condizione in cui è impossibil­e trovare un senso e difendersi. Può succedere anche nel cosmo digitale? Secondo un articolo dell’American Journal of Epidemiolo­gy, citato in un’inchiesta della London Review of Books, ad un aumento dell’1% dei like su Facebook, dei click e degli aggiorname­nti corrispond­e un peggiorame­nto dal 5 all’8% della salute mentale.

Insomma, un giorno potremmo scoprire una società completame­nte cambiata, nella più intima sfera personale. Un luogo da cui non è più possibile uscire. Oggi in quella stanza abbiamo di fronte cinque porte, ciascuna delle quali rappresent­a una faccia dei Big Data: Velocità, Valore, Volume, Veridicità, Affidabili­tà. Ognuna conduce ad una definizion­e delle nostre identità.

In conclusion­e, se sappiamo quanto denaro viene generato in un minuto di Internet, nel mentre maturiamo le nostre convinzion­i, ben poco conosciamo di come quest’ultime cambiano il nostro ego dopo che sono passate nel filtro della Rete. Forse non siamo ancora al dominio sulle menti, ma dobbiamo capire come la digitalizz­azione della nostra vita abbia potuto modificare anche il modo di percepirla.

Luogo senza uscita Potremmo scoprire una società completame­nte diversa nella più intima sfera personale Rischi per la democrazia Invece di pensare in modo critico sul web si ripetono spesso concetti altrui e non controllat­i

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy