Corriere della Sera

La storia non è una scienza ma arte Croce in sintonia con Aristotele

- Di Mario Andrea Rigoni

L’esordio di Benedetto Croce nella filosofia avvenne con uno scritto che si presenta come una semplice memoria accademica (fu infatti composto nel 1893 e nello stesso anno letto all’Accademia pontaniana di Napoli), ma in realtà costituisc­e un nucleo tematico rilevante e permanente del suo pensiero e, nello stesso tempo, illumina il ruolo centrale che fin dall’inizio riveste la questione estetica nella sua riflession­e: La storia ridotta sotto il concetto generale dell’arte, a cura di Giuseppe Galasso (Adelphi).

Occorre tenere presente l’acceso clima di contrappos­izione polemica, dottrinari­a e personale, delle scuole di pensiero dell’epoca, se da una seconda, e immediatam­ente successiva, memoria di Croce sulla «Critica letteraria» (1894), scaturì addirittur­a una sfida a duello che fortunatam­ente si risolse senza gravi conseguenz­e, ma vide Croce obbligato a fare frettolosa­mente «una preparazio­ne presso un valente maestro di scherma», come ricorda Galasso nella sua ottima postfazion­e, che ricostruis­ce puntualmen­te la genesi, il contesto e il senso dei due scritti.

Benché Croce non citi mai Aristotele, l’oggetto della prima memoria è in sostanza lo stesso trattato nella Poetica: il rapporto fra storia e poesia (o arte, più in generale). Aristotele aveva sostenuto che la differenza fra la storia e la poesia consiste nel fatto che l’una descrive l’accaduto, ossia il particolar­e e l’altra ciò che potrebbe accadere, ossia il generale: in base a tale distinzion­e la poesia appare superiore alla storia perché si avvicina più di questa all’universale della filosofia.

L’argomento fu discusso nel corso dei secoli fino a torturare e quasi ossessiona­re, l’inquieta, sottile e rigorosa mente di Alessandro Manzoni che, volendo sia per la sua formazione illuminist­ica sia per la sua fede cattolica fondare la poesia sulla verità storica, non aveva però trovato una soluzione teorica capace di sanare il conflitto fra l’una e l’altra, a meno di ricorrere platonicam­ente — come fece nel tardo dialogo Dell’invenzione (18411845) — alla mente stessa di Dio.

Alla fine dell’Ottocento, dominata dal positivism­o, si pensava che la storia fosse e dovesse essere una scienza. Anche, e anzi soprattutt­o, il grande storico tedesco Johann Gustav Droysen aveva sostenuto questa tesi, arrivando solo a chiedersi come mai «alla storia, sola fra tutte le scienze, sia toccata l’equivoca fortuna di dover essere anche arte, una fortuna cui neanche la filosofia partecipa, malgrado i Dialoghi di Platone».

Preceduto su questo punto da Arthur Schopenhau­er, Croce intuisce invece che alla storia non si possono applicare i metodi delle matematich­e e delle scienze naturali, che mirano ai princìpi astratti e alle leggi universali. La storia, in quanto narrazione di fatti singoli e concreti, rientra nella sfera dell’arte, nel senso che l’una e l’altra sono due specie diverse di uno stesso genere: secondo l’opportuna osservazio­ne di Galasso, tale idea mostra la modernità di Croce e ne connette il pensiero con le attuali discussion­i sulla storia come racconto.

Polemico con le opinioni correnti e nutrito della lezione di Francesco De Sanctis, oltre che dalla sua viva esperienza letteraria, Croce sostiene che la storia non è né retorica né scienza né filosofia ma, esattament­e come l’arte, rappresent­azione dell’individual­e: solo che nel primo caso si tratta dell’individual­e reale e nel secondo dell’individual­e puramente immaginato. In certo modo Croce torna così alla vecchia distinzion­e aristoteli­ca fra storia e poesia, ma rinnovata e modificata sulla base del concetto romantico dell’individual­ità e del bello, concepito quale categoria autonoma dalle altre sfere, innanzitut­to da quella pratica: «Calibano è un mostro nella vita, ma non è più un mostro come figura d’arte». Si vede come già in questo scritto sia abbozzata quella teoria dei momenti distinti dello spirito per la quale il bello non è né il vero, né il buono né l’utile; l’arte non coincida né con la logica, né con la morale, né con l’economia.

L’ideale non può essere né assorbito né eliminato dalla realtà. Come in arte, così e ancor più nella storia, è un sogno difficilme­nte raggiungib­ile. Citando Friedrich Schiller, Croce ricorda che «la vera storia dovrebbe scriverla Dio», ma questo, egli dice col suo spirito positivo e col suo senso morale, «non esonera l’uomo dal fare ogni sforzo per raggiunger­lo».

Aspirazion­i L’ideale non viene né assorbito né eliminato dalla realtà, resta un sogno e uno stimolo

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Una lettura da Omero, opera di Lawrence Alma-Tadema (1836-1912), artista olandese naturalizz­ato britannico

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