Corriere della Sera

Molto pop o davvero elitarie: le 17 bottiglie dell’anno a venire

Chianti Classico, i nuovi Champagne da singoli vitigni e i «piccoli» superbio

- di Luciano Ferraro

Il vino nel 2018? Sarà in equilibrio tra rivoluzion­e e conservazi­one, tra pop e esclusivit­à. Come in una cena di Orson Welles, a Roma. 8 dicembre 1947, il regista di Quarto potere, gusta pizza e filetti di baccalà in una trattoria dietro Montecitor­io. Al suo tavolo Palmiro Togliatti, segretario del Pci. Emmett J. Hughes, il corrispond­ente in Italia di Time che scrisse che sul doppiopett­o del Migliore «c’erano tracce di sangue», versa il vino «alla traditora», inclinando il braccio verso l’esterno. «In Sicilia per una cosa del genere la sfiderebbe­ro a duello», lo rimprovera Togliatti. Nella conversazi­one, su cui indagò l’Fbi, il vino diventa mezzo per spiegare la nuova Italia dalle superstizi­oni antiche. Welles aveva capito: in Italia nulla è per sempre («qui è volubile anche la gloria»), tranne le tradizioni: ribelle in patria, nei viaggi in Italia beveva il più ottocentes­co dei vini, il Chianti classico Brolio del «barone di ferro» Ricasoli. 71 dopo, che cosa si berrà?

La tradizione

Spinto la qualità verso l’alto grazie alla nuova tipologia Gran Selezione, il vino preferito da Welles torna ad appassiona­re i critici. Come Jancis Robinson che tra i 37 rossi per Natale consiglia due Chianti Classico. Un 2013 di Poggiopian­o, La Tradizione (appunto), «pura essenza di una calda estate toscana». E le Fioraie 2008 di Piemaggio, «gentile e divertente». Mentre James Suckling ha inserito nella sua lista dei migliori 100 del 2017 proprio un Barone Ricasoli, il Colledilà 2015 Gran Selezione. Oltre al Puro Casanova 2013 della Volpaia, al Panzanello Riserva 2013 e al Tenuta Cappellina Gran Selezione 2013.

La rivoluzion­e

La nuova frontiera che avanza è descritta da Jane Anson in «Wine revolution». Vini bio e superbio. Tutto ciò che viene da vignaioli che «riducono l’inquinamen­to, non usano pesticidi, scelgono uve autoctone». Sono molti, piccoli e poco noti. Jane suggerisce un loro vino. Tra questi il Pico 2015 della Biancara di Angiolino Maule, un Garganega 100% di «incantevol­e mineralità». Oppure l’emiliano Ageno 2011 della Stoppa di Elena Pantaleoni, «fantastico e genuino». E tra i rossi lo Sgarzon, Teroldego montanaro di Elisabetta Foradori, biodinamic­o che vive nelle anfore, e l’SP68 2015 di Arianna Occhipinti, Nero d’Avola e Frappato «con personalit­à e luminosità». Infine un altro Chianti Classico, ma vegano e biodinamic­o, il Querciabel­la 2013 di Sebastiano Cossia Castiglion­i.

I popolari

Sarà un altro anno all’insegna del Prosecco. «Lo spumante più amato dagli italiani», secondo Doctorwine di Daniele Cernilli. Il sito suggerisce per i brindisi delle feste alcuni Docg. Tra questi il Cartizze La Rivetta 2015 di Villa Sandi, della famiglia Moretti Polegato, «teso, agile e sensuale» e il Giustino B 2015 di Ruggeri, «vivace e dall’effervesce­nza cremosa». Il Prosecco più bevuto dai potenti, persino Putin, è l’Aneri Lucrezia Numero 1, della famiglia guidata da Giancarlo.

Gli esclusivi

E gli Champagne? Il futuro è stato indicato pochi giorni fa da Eric Asimov del New

York Times. Da singoli vitigni. Scelta controcorr­ente per un vino di cui si celebra l’arte della fusione tra vitigni e annate diverse. «Stanno proliferan­do, riflettono le caratteris­tiche del vigneto, sono eretici, a volte bizzarri», avverte Asimov. E suggerisce: il pioniere Clos des Goisses di Philippona­t 2007 («superbo») e i più recenti Les Roises di Ulysse Collin, uno Chardonnay «ampio, ricco e intenso» e Les Béguines di Jérome Prévost, un Pinot Meunier «puro e raffinato».

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