Tecnica e fisico può sognare l’oro dei Giochi
Nello sci ogni pista è diversa dall’altra. Chi vince a Bormio, una tra le più difficili al mondo, può dominare anche la libera delle prossime Olimpiadi coreane, da tutti ritenuta «facile» in quanto ricavata su una collina prossima all’Oceano? Opportuno fare un distinguo. Le discese «naturali», le storiche, sviluppate percorrendo i tracciati che sulla montagna collegavano i maggenghi e gli alpeggi attraverso il bosco, quindi ricche di falsopiani, come Wengen, Kitzbhuel, Garmisch, Chamonix, sono piste sulle quali la performance è subordinata alla scorrevolezza dell’atleta e dei materiali. Adatte al Paris «scivolatore» di qualche anno fa. Po ci sono quelle «artificiali», progettate per consentire sulla stessa pista la disputa di discesa, superG, gigante. Più ripide, ricche di curve, senza falsopiani, adatte a velocisti con ottima tecnica di curva, come il Paris attuale dopo una importante evoluzione tecnica. Appartengono a questa categoria VailBeaver Creek, Val d’Isere (Bellevarde), Bormio e anche la pista olimpica 2018 in Corea, ripida e varia come si addice a una tracciato progettato per prove veloci e slalom gigante. Dominik Paris quindi ha i titoli per vincere anche l’oro olimpico. Perché con i norvegesi Svindal ed Jansrud, oltre a una buona tecnica di curva alle alte velocità, ha la «stazza», 190 centimetri per 93 chili, nonché la determinazione, per reggere i 140 all’ora anche su terreni accidentati. Purché riesca a mantenere la concentrazione dalla partenza all’arrivo. Il suo unico neo.