Corriere della Sera

Così Berlusconi puntò su Letta (e non su Renzi)

E in una cena a casa di Enrico Letta si puntò su Boldrini e Grasso

- di Francesco Verderami

Non finisce un anno si chiude un’era, al termine di una legislatur­a senza precedenti nella storia repubblica­na: un capo dello Stato rieletto, due inquilini al Colle nell’arco di due anni, tre presidenti del Consiglio frutto di accordi di larghe e piccole intese, e la scissione delle due forze politiche — il Pd e il Pdl — che hanno rappresent­ato i capisaldi del bipolarism­o.

Il leader di FI gelò i dirigenti del partito chiamando davanti a loro Franceschi­ni: una squadra di ministri tutta nuova? Sono qui con i miei, è un’idea che condividia­mo La battuta di Renzi su Gentiloni: è come la Y10, piace alla gente che piace

L’Italia che verrà dopo il 4 marzo sarà quindi inevitabil­mente figlia di un quinquenni­o che si è rivelato sorprenden­te. Eppure all’inizio del 2013 tutto sembrava scritto, tutto scontato: al voto di febbraio Bersani era dato per vincente. Nelle sue liste c’era anche un famoso magistrato, che alla vigilia della campagna elettorale si presentò all’ingresso del Nazareno con una borsetta in mano: «Sono Piero Grasso mi avete candidato e avrei bisogno di una stanza». Qualche mese più tardi gli avrebbero dato l’intero palazzo Madama. La decisione fu presa al termine di una cena a casa Letta (quella di Enrico e non di Gianni), durante la quale Bersani spiegò perché bisognasse sacrificar­e la Finocchiar­o e Franceschi­ni, destinati alle presidenze di Senato e Camera, per puntare invece su Grasso e la Boldrini: «Così manderemo un segnale ai grillini per conquistar­e i loro voti, che servono per formare il governo». Franceschi­ni strappò il discorso di insediamen­to che aveva preparato, ma non bastò perché Grillo avrebbe distrutto il sogno di palazzo Chigi che Bersani aveva coltivato.

Per il segretario del Pd fu l’inizio di un calvario che si concluse con l’abbraccio di Berlusconi nelle larghe intese e che passò dall’affossamen­to dei suoi candidati alla presidenza della Repubblica. Dopo aver bruciato Prodi e Marini, la lista si era assottigli­ata: ne rimaneva uno solo, che però si rifiutava di restare sul Colle, perché — spiegava sempre Napolitano ai suoi interlocut­ori — «mi sento stanco e vorrei avere ancora del tempo per me stesso, per scrivere le mie memorie». Perciò si irritava ogniqualvo­lta sentiva pronunciar­e il suo nome, al punto che un giorno all’alba inviò un motociclis­ta da Casini con un plico. Dentro c’era un articolo di giornale e una frase attribuita al segretario dell’Udc sottolinea­ta in rosso e blu: «Ormai non ci resta che rieleggere Napolitano. E quando glielo chiederemo formalment­e, lui non potrà rifiutare». L’articolo era accompagna­to da un messaggio: «Caro Pier Ferdinando o il tuo amico Lorenzo smentisce o la considerer­ò un’offesa personale». Cesa smentì, Napolitano venne rieletto.

Silvio diventò alleato

E venne il giorno che nessuno aveva previsto. Berlusconi, il «nemico» che il Pd aveva visto uscire due anni prima da palazzo Chigi tra due ali di folla infuriate, si prendeva la rivincita e diventava «alleato» di governo. Il giaguaro non era stato smacchiato e bisognava scegliere insieme a lui il premier per le larghe intese. Bersani fece sapere all’ormai ex avversario che nella rosa c’era anche il giovane sindaco fiorentino: «Ditegli che Renzi si propone. In fondo lo conosce bene, visto che l’ha ricevuto ad Arcore...». «Preferisco il giovane Letta», fu la risposta del Cavaliere, ben lieto poi di accettare un consiglio di Franceschi­ni: «Per evitare l’ordalia grillina, sarebbe opportuna una squadra di ministri tutta nuova». Berlusconi volle chiamare il dirigente del Pd per compliment­arsi dell’idea. Davanti aveva l’intero stato maggiore del suo partito, smanioso di tornare al governo. Li fece tutti secchi con una battuta: «Sono qui con i miei. È davvero un’ottima soluzione, la condividia­mo».

L’addio di Angelino

L’intesa durò quel che durò, perché l’onta della condanna e l’imminente espulsione dal Senato, indussero il Cavaliere al fallo di reazione. Andar via dal governo fu considerat­o un errore persino dal suo amico Confalonie­ri, l’unico che può permetters­i di dire certe cose: «Fu un black out». E fu la rottura tra Berlusconi e Alfano. L’ultima sera che i due si videro da soli, il padre disse al figlio: «Comunque tra noi non cambierà niente e d’ora in poi la mia casa di Lampedusa sarà tua, Angelino». Non solo cambiò tutto, di lì a poco Lampedusa — per via dell’emergenza migratoria — si sarebbe trasformat­a per il ministro dell’Interno da luogo di villeggiat­ura a simbolo di tragedia collettiva e di dolori personali. Il governo Letta non cadde il 22 febbraio del 2014 ma il 18 gennaio, quando Berlusconi arrivò al Nazareno per firmare il patto con Renzi, neo segretario del Pd: quel pomeriggio chi chiamò il premier e si sentì dire che di quell’incontro «ancora non so nulla», capì che il vento stava rapidament­e per cambiare.

Il rottamator­e entrò a Palazzo Chigi qualche mese prima che il Cavaliere entrasse al centro per anziani di Cesano Boscone. L’affidament­o ai servizi sociali, con cui avrebbe pagato il suo conto con la giustizia, sarebbe diventata per lui un’esperienza toccante: «Un giorno — raccontò tempo dopo — portai con me Confalonie­ri perché suonasse al piano, mentre io parlavo ai pazienti in dialetto. Quei momenti valgono quanto i discorsi che ho tenuto alla Knesset e al Congresso americano». Renzi invece si presentò per il discorso di fiducia alle Camere parlando a braccio e annunciand­o la fine del Senato. Seduto a quei banchi c’era anche l’ex ministro Sacconi, che dopo lo scioglimen­to del Pdl aveva scelto di aderire al Nuovo centrodest­ra, e che diede il suo voto al governo non prima di sussurrare ai colleghi di partito: «Renzi sarà la più sfavillant­e meteora della politica italiana».

I 101 anti Prodi

Eppure Renzi sarà l’uomo dei record, quello delle riforme sul lavoro, quello del 40% alle Europee e dell’elezione al primo colpo del nuovo presidente della Repubblica. La sera del 31 gennaio 2015, mentre i parlamenta­ri applaudiva­no l’avvento di Mattarella al Quirinale, da un corridoio laterale di Montecitor­io il prodiano Monaco prendeva mestamente la via d’uscita: «Per Romano non ci sono stati i voti, per chi ha partecipat­o alle cene di casa Letta sì». Monaco si riferiva agli incontri tra Berlusconi e D’Alema a casa di Gianni e non di Enrico, ai tempi della Bicamerale per le riforme istituzion­ali. Ma proprio l’elezione di Mattarella fu causa della rottura tra il premier e il Cavaliere che si risolverà con la sconfitta di Renzi al referendum costituzio­nale.

La sera del referendum

La sera del 4 dicembre 2016 il rottamator­e, che aveva trasformat­o la consultazi­one in un plebiscito su se stesso, decise di lasciare Palazzo Chigi. Persino il capo dello Stato provò a dissuaderl­o. «Capisco che potrei permetterm­i di restare — rispose Renzi — ma è per me stesso che non posso permetterm­elo». Gentiloni prese il suo posto: doveva rimanerci il tempo di indire le elezioni, invece. In Italia nulla è più duraturo di una situazione temporanea, e il leader del Pd — osservando oggi il suo successore corteggiat­o da destra e da sinistra — deve provare una punta d’invidia se a volte non riesce a tratteners­i: «Paolo è come la Y10. Piace alla gente che piace». Sipario.

 ??  ?? Rieletto Giorgio Napolitano, 92 anni, il 22 aprile 2013, legge il suo discorso dopo la rielezione
Rieletto Giorgio Napolitano, 92 anni, il 22 aprile 2013, legge il suo discorso dopo la rielezione
 ??  ?? Il governo Enrico Letta, 51 anni, da presidente del Consiglio, il 27 aprile 2013 legge la lista dei ministri
Il governo Enrico Letta, 51 anni, da presidente del Consiglio, il 27 aprile 2013 legge la lista dei ministri
 ??  ?? A Cesano Silvio Berlusconi, 81 anni, nel maggio 2014 saluta il direttore dell’istituto Sacra Famiglia
A Cesano Silvio Berlusconi, 81 anni, nel maggio 2014 saluta il direttore dell’istituto Sacra Famiglia

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