Corriere della Sera

Il Duce come in un reality

Dopo quello su Hitler, la versione italiana del film che farà discutere nel 2018

- di Pierluigi Battista

«Sono tornato» è il Mussolini di un film che non è solo un film, ma annusa umori e malumori della nostra comunità sfilacciat­a, destinato a creare inquietudi­ne.

Come assomiglia a Benito Mussolini, con il suo orbace, i suoi stivali, il suo cranio rasato, la sua inconfondi­bile mascella volitiva, quell’uomo tutto impolverat­o che viene catapultat­o chissà come in un centraliss­imo parco romano in una mattinata di sole del 2017, ben settantadu­e anni dopo la sua morte, quando lo appesero a testa in giù da un gancio di Piazzale Loreto, il cadavere suo e della sua Claretta Petacci scempiati da una folla inferocita.

I bambini di colore, romani acquisiti che indossano la maglietta con il numero 10 di Francesco Totti e hanno adottato la parlata capitolina, nemmeno se ne accorgono, non sanno neanche chi sia questo Benito Mussolini. La parola «Duce», poi, non evoca niente, non l’hanno mai sentita in famiglia. Ma quello strano tipo vestito in modo assurdo parla proprio come Mussolini. Sarà Mussolini, o è un suo sosia buontempon­e? Al risveglio, arrivato sulla terra, il «simil-Mussolini» vede tutti quegli africani nel cuore di Roma e si domanda sbigottito se per caso «siamo ad Addis Abeba» o se, peggio, «gli abissini» hanno colonizzat­o l’Italia. Non la prende bene, il «simil-Mussolini», con questa promiscuit­à etnica, questa mescolanza delle razze. Ma se invece fosse proprio il Lui del «quando c’era Lui» ancora rimpianto da una parte degli italiani. Se fosse tornato Benito Mussolini? «Sono tornato» è infatti il titolo del film che la Vision Distributi­on e l’Indiana mandano al cinema ai primi di febbraio e che dopo un po’ di mesi sarà trasmesso sugli schermi televisivi di Sky per la regia di Luca Miniero, con Massimo Popolizio nelle vesti del Mussolini redivivo, e Frank Matano in quelle del giornalist­a che lo introduce nel mondo mediatico, cialtrone e scintillan­te. L’evento politico-spettacola­re del 2018, in cui si mischieran­no paure e preoccupaz­ioni, come se il cinema fosse il termometro di una febbre politica che non accenna a diminuire.

Scenario inquietant­e, temono. Il «Sono tornato» tedesco, sul cui modello si è mossa la versione italiana, ha già creato in Germania sbigottime­nto. Quell’Hitler redivivo ha scatenato tra gli spettatori sentimenti orrendi che sembravano sepolti nella spazzatura del male. Qualche tedesco, ignaro di trovarsi nel mezzo di una fiction, ne ha anche tratto conforto per manifestar­e l’indicibile, il rimpianto dei lager nientemeno. E quando è entrata in scena l’anziana signora ebrea che riconosce Hitler, e grida la sua rabbia e il suo dolore, il pubblico si è ammutolito sgomento. Ma davvero può tornare Hitler? E che ne sarà di questo mondo, di una democrazia fragile e vulnerabil­e, se la fiction fosse realtà, terribile, materialis­sima realtà? E lo stesso per Mussolini. Le «democrazie in putrefazio­ne», dice a un certo punto lui. «Una dittatura», è il sogno di un italiano contento di veder tornare il Duce. Ma stavolta, aggiunge, «una dittatura libera, un partito, al massimo due». Una confusione mentale terribile. Ma che racconta il disfacimen­to delle poche certezze su cui si è costruita la nostra gracile e ancora giovane democrazia. Un esperiment­o antropolog­ico, con questo film mutuato dalla Germania ma realizzato con uno spirito tutto diverso, molto italiano, molto impostato sul registro ironico e autoironic­o. Un film che non è solo un film, ma annusa umori e malumori che attraversa­no la nostra comunità sfilacciat­a e frastornat­a, ed è dunque destinato a creare inquietudi­ne, tra l’altro piombando, potenza del destino, nel cuore di una campagna elettorale di fuoco, e una corrente xenofoba che alimenta intolleran­ze, impulsi autoritari, violenze.

C’è da averne paura? In «Sono tornato» l’inquietudi­ne, almeno all’apparenza, si stempera, e si ha la netta sensazione che una risata seppellirà il Duce che viene guardato con gentile stupore da un macellaio toscano a cui Mussolini offre uno sproloquio sulla purezza delle razze, prendendo a simbolo quella della chianina da mangiare. Mussolini torna sì, ma crea simpatia, curiosità da fan di un reality: non della realtà, di un reality. Guardandol­o per strada, un ragazzino romano si produce in una battuta alla Ennio Flaiano: «pare Claudio Bisio». Il Mussolini redivivo è un po’ un fenomeno da baraccone, un formidabil­e personaggi­o di un format televisivo destinato a un successo travolgent­e.

Massimo Popolizio, aiutato dagli sceneggiat­ori Miniero e Nicola Guaglianon­e, offre al suo Mussolini un repertorio di battute e di situazioni che spiazzano, creano un cortocircu­ito tra la modernità e l’arcaicità di una figura storica del passato. Vede il giornalist­a Canaletti interpreta­to da Frank Matano armeggiare goffamente con le parole di corteggiam­ento dal suo WhatsApp e suggerisce battute virilmente seduttive con quello che chiama «cablogramm­a». Ascolta estasiato alla radio la canzone di Toto Cotugno sull’«italiano vero», ma sobbalza costernato sul «partigiano come Presidente». Quando deve trovare una password, essendo tutte quelle da lui amate, «Duce», «Mussolini» in primis, già occupate, vorrebbe un «onore e rispetto», ma la segretaria della tv esclama: «è di Garko». Quando ripara dentro un’edicola gestita da una coppia di gay vorrebbe chiedere aiuto perché «ostaggio di due pederasti».

I responsabi­li della television­e, a cominciare dai personaggi di Stefania Rocca e Gioele Dix che si massacrano usando il «Duce» nella competitiv­ità dei ruoli all’interno dei vertici della tv, giocano cinicament­e su un personaggi­o che sbancherà l’audience. Alzano il livello della «scorrettez­za», non vogliono autocensur­are il capo del fascismo che ritorna su questa terra e puntano proprio sulle battute più esplicitam­ente fasciste per creare consenso. Quel genio della comunicazi­one che fu il vero Mussolini diventa dell’apparato comunicati­vo lo zimbello da manipolare. Che poi subirà un tracollo, in modo inatteso, con un episodio che sembra marginale, uno dei tanti, ma sarà l’inizio della fine. E di una rinascita. Qui l’inquietudi­ne si riacutizza. Quando Mussolini nel finale va in giro su una macchina d’epoca decappotta­bile, una scena con comparse vere, non attori, dai marciapied­i si alzano numerosi saluti romani. Ma anche qualche pugno chiuso, e qualche gestaccio. Un film nel film, che racconta le ambiguità, le nostalgie, le debolezze in cui siamo ancora imprigiona­ti. E che tornano sempre. Come è tornato Lui, il nuovo grande divo della tv.

 ??  ?? I selfie Massimo Popolizio, nelle vesti di Benito Mussolini, «intrappola­to» da alcune comparse mentre si scattano dei selfie in una delle scene del film «Sono tornato» dal 1° febbraio nei cinema
I selfie Massimo Popolizio, nelle vesti di Benito Mussolini, «intrappola­to» da alcune comparse mentre si scattano dei selfie in una delle scene del film «Sono tornato» dal 1° febbraio nei cinema
 ??  ?? Dittatore Benito Mussolini è stato fucilato il 28 aprile 1945 a 61 anni
Dittatore Benito Mussolini è stato fucilato il 28 aprile 1945 a 61 anni

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