Il «doppio binario» dei democratici Gentiloni dovrà parlare ai moderati
Il premier e il leader, due campagne complementari per dimostrare l’unità del Pd
Che abbia ripescato uno degli ossimori più celebri della storia politica del ’900 è in fondo naturale per Paolo Gentiloni. Ha annunciato che farà campagna elettorale per la «forza tranquilla» della sinistra di governo, esperienza che include Enrico Letta e recupera un filo rosso fra i tre presidenti del Consiglio democratici di questa legislatura. Ed in questo modo ha definito un parametro, ritagliato sullo slogan che lanciò Mitterand verso l’Eliseo, primo socialista della V Repubblica, capace di rassicurare i francesi ancor prima di convincerli.
Non poteva esserci citazione migliore, quasi biografica, aderente al carattere del presidente del Consiglio. Il geniale pubblicitario francese, Jacques Seguela, la coniò per un candidato che doveva recuperare consensi, oggi Gentiloni la recupera e l’affibbia al suo partito, che deve fare altrettanto se vuole restare alla guida di Palazzo Chigi.
E dunque la campagna elettorale di colui che ha preso gusto a ostentare un understatement, che ironizza sul proprio ruolo («il premier, che sarei io…»), non potrà che tendere a smussare le differenze di carattere con Matteo Renzi, a presentare come unitaria la capacità di governo del Pd, a rivendicare i risultati non solo dei suoi 12 mesi, ma anche quelli dei due premier che l’hanno preceduto.
Nel suo staff dicono che farà tutto quello che sarà compatibile con ruolo e attività istituzionale. Ma ciò non significa che non sia pronto ad andare in tv, nelle piazze del Pd, svestendo i panni del capo di governo e indossando quelli della dirigenza democratica.
«Lo farò nel rispetto del mio ruolo, della Costituzione, della legge», dunque presentandosi agli italiani semplicemente come esponente di punta di quella «forza tranquilla» che pur avendo litigato al suo interno, subito una scissione, sostituito in corsa un premier dopo l’altro, «ha dato prova di capacità di governo, in condizioni difficilissime». Insomma il Pd non è solo l’esuberanza del suo candidato principale, accusato di aver diviso più che unito, ma ha anche il volto di chi ha governato quasi sottovoce: «abbiamo preso molte decisioni e fatto pochi annunci», un profilo che ha contributo a sollevare Gentiloni negli indici di gradimento.
Di quanto potrà dare l’ex ministro degli Esteri nella campagna elettorale il diretto interessato ha parlato con Renzi e in questo caso la sintonia appare in discesa. I due caratteri sono in qualche modo complementari, due ruoli con una missione unica: toccherà a Renzi attaccare il movimento dei 5 Stelle, la fragile alleanza fra Berlusconi e Salvini; toccherà invece a Gentiloni parlare ai moderati italiani, a coloro che nel suo stile si sono riconosciuti, cercando di convincere che la sua cifra è anche quella dell’intero Pd.