Egitto, spari davanti a una chiesa copta
Due terroristi tentano l’assalto a Mar Mena, vicino al Cairo: almeno 10 morti. Due vittime in un negozio
In pugno le armi automatiche per falciare i civili. Addosso gli ordigni da lanciare sulla folla e le cinture esplosive per farsi saltare. Il modus operandi è sempre lo stesso. L’obiettivo, ancora una volta, i luoghi di culto delle minoranze.
È di almeno nove morti e quattro feriti il bilancio dell’attacco di ieri mattina alla chiesa copta di Mar Mena a Helwan, a sud del Cairo, rivendicato dall’Isis. Tra le vittime, un poliziotto e i fedeli che si accingevano ad entrare in chiesa a pochi giorni dal Natale copto che si celebra il 7 gennaio. Le altre due persone uccise si trovavano in un negozio nelle vicinanze, preso d’assalto un’ora dopo l’attacco, secondo un comunicato della chiesa copta.
«Le forze di sicurezza sono intervenute subito», ha fatto sapere il ministero della Difesa egiziano: uno dei due terroristi, Ibrahim Ismail Mustafa, 33 anni, già ricercato, è morto nello scontro a fuoco con la polizia prima che riuscisse a superare il cordone di sicurezza intorno alla chiesa, mentre l’altro è stato arrestato probabilmente dopo che si era dato alla fuga a bordo di una motocicletta.
A scongiurare un numero di morti più alto, i metal detector e le misure di sicurezza rafforzate a ridosso delle festività. Da tempo la minoranza religiosa, che in Egitto rappresenta il 10 per cento della popolazione, è nel mirino dell’Isis. Nel dicembre scorso il gruppo jihadista ha rivendicato un attacco suicida in una chiesa del Cairo, poi un secondo sempre in una chiesa durante la Pasqua. Il fronte della lotta all’Isis in Egitto è duplice: oltre al Nord del Paese, dove è concentrata la maggioranza dei copti, anche il Sinai è strategico per lo Stato Islamico. Qui in novembre più di 300 persone sono state uccise in un attacco a una moschea sufi.
Se il regime di Al Sisi è messo alla prova dalla minaccia terroristica, a contribuire all’instabilità è anche la profonda crisi economica e politica che attraversa il Paese rendendo il terreno più fertile per i gruppi jihadisti. Pesantemente criticati sono anche i metodi utilizzati dall’antiterrorismo egiziano. Il 26 dicembre sono stati condannati a morte 7 uomini, con l’accusa di aver decapitato 21 copti egiziani a Sirte, in Libia, nel 2015. Mentre organizzazioni per i diritti umani come Amnesty International e Human Rights Watch denunciano l’uso della tortura e delle sparizioni forzate da parte dei militari per contrastare gli estremisti. Inoltre l’impiego di milizie locali in Sinai contribuisce a rafforzare i clan e i meccanismi di vendette tribali, in una spirale d’odio senza fine.