Caso Belpietro «Non esiste il vilipendio alle religioni»
Per la legge italiana non può esistere reato di vilipendio a una religione (islamica, cattolica o qualunque sia) se l’offesa, la connotazione spregiativa, l’insulto «sono rivolti non a un suo ministro di culto o a una specifica persona che la professi», ma «alla moltitudine indifferenziata dei credenti»: è per questa ragione — e non invece per la disquisizione lessicale proposta in Tribunale a Milano da Maurizio Belpietro su quale fosse il sostantivo e quale l’aggettivo nel titolo «Bastardi islamici» — che l’attuale direttore de la
Verità, difeso dall’avvocato Valentina Ramella, il 18 dicembre è stato assolto dall’aver vilipeso (con finalità di discriminazione e odio razziale) la confessione religiosa dell’Islam nel titolo pubblicato da Belpietro sulla prima pagina di
Libero il 14 novembre 2015, all’indomani dei 130 morti a Parigi nelle stragi jihadiste al teatro Bataclan e negli attentati attorno allo Stade de France. La giudice Anna Calabi nella motivazione spiega ora che quel titolo fu in effetti «offensivo e pericoloso» in quanto «idoneo a creare, in un contesto ignorante e in un momento delicato, un contagio nell’immaginario collettivo e spingere a una rischiosa equazione tra islamici e terroristi»; ed «è di tutta evidenza» che chi avesse letto il titolo fosse portato a «una generalizzata imputazione dell’attentato di Parigi alla generalità dei fedeli islamici», sicché «è comprensibile» che quanti professano la religione islamica «si siano sentiti ingiustamente chiamati in causa come islamici accostati ai terroristi». Ma la giudice — oltre a rimarcare che «per le comunità islamiche» il titolo «non può avere avuto una risonanza pari a quella che l’atto terroristico può aver causato» — aggiunge che «lo Stato interviene a presidio della religione», quale «bene superindividuale», solo «quando il sentimento religioso della collettività dei fedeli» sia stato vilipeso dall’«offesa a una persona che professa quella religione o a un ministro di culto»: e invece Belpietro, «pur utilizzando espressioni non condividibili per il loro connotato intrinsecamente spregiativo, non ha commesso vilipendio della religione perché non ha diretto la sua azione a un ministro di culto o al singolo individuo che la professa».