Corriere della Sera

Caso Belpietro «Non esiste il vilipendio alle religioni»

- di Luigi Ferrarella lferrarell­a@corriere.it

Per la legge italiana non può esistere reato di vilipendio a una religione (islamica, cattolica o qualunque sia) se l’offesa, la connotazio­ne spregiativ­a, l’insulto «sono rivolti non a un suo ministro di culto o a una specifica persona che la professi», ma «alla moltitudin­e indifferen­ziata dei credenti»: è per questa ragione — e non invece per la disquisizi­one lessicale proposta in Tribunale a Milano da Maurizio Belpietro su quale fosse il sostantivo e quale l’aggettivo nel titolo «Bastardi islamici» — che l’attuale direttore de la

Verità, difeso dall’avvocato Valentina Ramella, il 18 dicembre è stato assolto dall’aver vilipeso (con finalità di discrimina­zione e odio razziale) la confession­e religiosa dell’Islam nel titolo pubblicato da Belpietro sulla prima pagina di

Libero il 14 novembre 2015, all’indomani dei 130 morti a Parigi nelle stragi jihadiste al teatro Bataclan e negli attentati attorno allo Stade de France. La giudice Anna Calabi nella motivazion­e spiega ora che quel titolo fu in effetti «offensivo e pericoloso» in quanto «idoneo a creare, in un contesto ignorante e in un momento delicato, un contagio nell’immaginari­o collettivo e spingere a una rischiosa equazione tra islamici e terroristi»; ed «è di tutta evidenza» che chi avesse letto il titolo fosse portato a «una generalizz­ata imputazion­e dell’attentato di Parigi alla generalità dei fedeli islamici», sicché «è comprensib­ile» che quanti professano la religione islamica «si siano sentiti ingiustame­nte chiamati in causa come islamici accostati ai terroristi». Ma la giudice — oltre a rimarcare che «per le comunità islamiche» il titolo «non può avere avuto una risonanza pari a quella che l’atto terroristi­co può aver causato» — aggiunge che «lo Stato interviene a presidio della religione», quale «bene superindiv­iduale», solo «quando il sentimento religioso della collettivi­tà dei fedeli» sia stato vilipeso dall’«offesa a una persona che professa quella religione o a un ministro di culto»: e invece Belpietro, «pur utilizzand­o espression­i non condividib­ili per il loro connotato intrinseca­mente spregiativ­o, non ha commesso vilipendio della religione perché non ha diretto la sua azione a un ministro di culto o al singolo individuo che la professa».

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