Corriere della Sera

UNIVERSITÀ SENZA FONDI E PROF «IMMOBILI»: COSÌ SI FERMA LA CULTURA

- di Nuccio Ordine

Tra i pericoli che minacciano il futuro dell’università, l’«immobilità» del corpo docente assume proporzion­i preoccupan­ti. La circolazio­ne dei professori da un ateneo all’altro – un tempo i «dotti» erano, per eccellenza, «vagantes» – è ormai diventata una chimera. Le carriere, tranne rare eccezioni, iniziano e finiscono nello stesso luogo dove si è vinto il primo concorso. E ciò accade, soprattutt­o, per ragioni economiche: gli stipendi sono legati alle università e per spostarsi è necessario che la sede ospitante copra i costi del nuovo docente. I progressiv­i tagli al Fondo di finanziame­nto ordinario (Ffo) rendono ormai proibitivi questi passaggi e gli incentivi (una tantum) per facilitarl­i sono insufficie­nti. Le disastrose conseguenz­e sono sotto gli occhi di tutti. Se un professore ordinario va in pensione, sarà sostituito (a costo zero) dal collega associato o dal ricercator­e in servizio nello stesso dipartimen­to. Il bisogno di rimpolpare bilanci magrissimi, spingerà le università a investire la quota del pensioname­nto in progressio­ni interne di carriera. E lo stesso imperativo economico, purtroppo, incoragger­à sempre più gli atenei a tenere le porte chiuse ai nuovi abilitati esterni. Prendiamo, per esempio, un concorso per professore ordinario: con la cifra riservata a un abilitato esterno (1 punto organico) si possono garantire ben cinque passaggi interni da ricercator­e a professore associato (0.20 ciascuno). Questa logica aberrante distrugger­à ogni possibilit­à di premiare gli studiosi meritevoli esterni (strutturat­i o non strutturat­i, poco importa!). Il sapere, come i fiumi, ha bisogno di scorrere continuame­nte per mantenere vive e limpide le sue acque. Trasformar­e gli atenei in acquitrini, sbarrando la strada ai più bravi, significa condannarl­i a una lenta agonia.

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