«La polizia attacca» «Abbiamo paura» Le voci dei ragazzi che si rivoltano
Raccontano «la voglia di una vita moderna»
All’Università Scontri tra giovani e agenti, pietre contro lacrimogeni e taser: «Impedito il corteo»
«Ero dietro l’università di Teheran, la polizia ci ha attaccati con i lacrimogeni e i taser. Noi manifestanti eravamo più dei poliziotti, ma non ci lasciavano protestare». I video diffusi sui social media mostrano una settantina di studenti, pietre contro manganelli. Tra loro c’è Aysan, 32 anni, allieva di Letteratura. Ci scrive via smartphone più tardi, quando lei e gli altri giovani si sono spostati verso piazza Libertà, e marciano gridando «Morte a Rouhani» e «Morte a Khamenei». «Ho votato per il presidente Hassan Rouhani ma è stato inutile — racconta al Corriere —. Ci ha fatto delle promesse e poi le ha dimenticate. Io voglio la democrazia, voglio cambiare questo regime».
A parte una novantina di arresti tra Kermanshah e Teheran, nei giorni scorsi le autorità della Repubblica Islamica hanno evitato di inviare in piazza i Guardiani della Rivoluzione e i paramilitari basiji a reprimere con violenza le proteste come accadde nel 2009. Ma ieri ci sono stati sporadici scontri, come quelli all’Università della capitale. In serata, un video diffuso sui social media, mostrava due manifestanti forse morti, portati via dopo una sparatoria della polizia nella cittadina occidentale di Dorud. La tv Al Arabiya (che però è legata all’Arabia Saudita, il grande rivale dell’Iran) sosteneva che i morti a Dorud sarebbero almeno tre. Altre voci accompagnate da foto ugualmente inverificabili online parlavano di sei morti in tutto il Paese. La cautela è necessaria: tra gli account che pubblicano video ci siamo imbattuti anche in un «attivista saudita».
Ciò nulla toglie alla spontaneità delle proteste che in tre giorni si sono estese a tutto il Paese. Sono scesi in piazza i più poveri e gli abitanti delle piccole città. A Karaj, per esempio. «Non eravamo tanti, perché c’è molta paura», ha detto al Corriere via Telegram Alireza, 16 anni. La mamma fa la casalinga, il papà è un impiegato in una ditta di camion. «C’era molta gente povera, che non ha soldi, è disoccupata. Invece, i più ricchi che lavorano per il governo in queste occasioni non si vedono. Anch’io ho paura, perché so che se protesti vieni fatto sparire. Non danno nemmeno il corpo alla tua famiglia, solo un dito per riconoscerti».
«Io e altri giovani protestiamo perché vogliamo una vita libera, moderna, felice», ci spiega via Facebook Mehran, 25 anni, del Sud dell’Iran: «Il governo ci opprime. Povertà e disoccupazione, inflazione e corruzione dei funzionari governativi, appropriazione indebita e scandali bancari hanno creato una crescente sfiducia e la delusione tra la gente».