Gros: «Sci da 4 medaglie E una svolta dopo i Giochi»
«In Corea le donne trascinatrici. I giovani? Imparino lo slalom»
Due vittorie in due giorni: Piero Gros, sciogliamo la prognosi sul nostro sci? «Dipende quanto lontano vogliamo guardare» risponde la medaglia d’oro nello slalom di Innsbruck 1976. Vero: questione di prospettive. Ma se non altro, a 40 giorni dai Giochi coreani, qualche pensiero cupo si è dissipato.
Cominciamo... dalla fine: a Pyeongchang quante medaglie vincerà l’Italia nell’«alpino»?
«Tre-quattro, con le donne a fare da locomotiva. Chi la batte una Brignone se scia come l’altro ieri a Lienz?». Il rischio di «bucare» come al Mondiale 2017 esiste?
«Nello sci la componente emotiva è enorme e a St.Moritz le attese erano moltiplicate da una grande stagione». Come dire che stavolta non c’è pericolo...
«I risultati è sempre meglio averli: dico un’ovvietà per sottolineare che potremmo essere alle soglie di un gennaio vincente e in grado di caricare. Ma è anche vero che un atleta di alto livello deve saper gestire lo stress. Come? In gara deve pure divertirsi».
Si dice: i crucci arriveranno dopo i Giochi e nel medio periodo. A meno che non spunti il talento.
«Il guaio è che se guardo il ranking della Coppa del Mondo, quindi i primi 60 posti, trovo giovani di varia nazionalità, svizzeri e austriaci in primis, e quasi nessun italiano». Il presidente Roda vuole aprire dei centri federali.
«Ha un senso. Ne servono tre, uno in Alto Adige, uno nell’area occidentale e uno in una zona centrale. Occorre poi sviluppare gli sci club — in Gardena ce n’è uno solo, in Val di Susa ne abbiamo 22 — e infine serve lavorare sul futuro della discesa. È la specialità più critica, mancano le piste. Creiamo allora le “palestre” della neve: la Fisi identifichi tre tracciati alpini, li apra ai comitati e mandi ad allenarsi i ragazzi dai 15 anni in avanti». Preoccupa pure lo slalom.
«Resto basito quando un Paris, velocista puro, becca solo 1”13 da Pinturault (nello slalom della combinata di Bormio, ndr) mentre gli specialisti rimediano perfino il doppio. Butto lì alcune riflessioni, pensando al domani e alle nuove leve: prima bisogna insegnare le curve strette e poi quelle larghe, forse facciamo troppo il contrario; occorre allargare la base, cominciando con programmi seri dai 13 anni; ci vuole più coraggio nel lanciare i giovani in Coppa, già sapendo però che lo sci di oggi si è spostato in avanti di 6-7 anni e che dunque serve la pazienza prima di vedere i risultati».
Il problema è anche legato agli allenatori?
«Non è una critica a chi lavora oggi. Però tanti buoni tecnici sono all’estero: guadagnano di più. Quindi, miglioriamo i salari». Però servono, banalmente, i soldi.
«Perché non seguire un’iniziativa come la “tassa del sudore”? Vedo che il ciclismo la sta criticando, eppure per me è utile: se serve a valorizzare un lavoro sulla base e a fornire risorse, perché no? Perché non integrare la tessera Fisi, che è solo per gli atleti?».
Torniamo a Pyeongchang: la Brignone, d’accordo. Ma saranno pure i Giochi di Paris e della Goggia?
«Ma anche di Fill e dei Moelgg, spero. Quanto a Sofia Goggia, dal talento pazzesco, deve imparare a ragionare: nella seconda manche di Lienz pareva una principiante. Questo significa capire che a volte non si deve tentare di stravincere, basta accontentarsi di un podio. L’atleta deve sempre percepire dove lo porta lo sci».
La Brignone diventa imbattibile, se scia come a Lienz. Sofia Goggia ha un talento pazzesco, ma deve imparare a ragionare