Corriere della Sera

I POLITICI E LA CUOCA DI LENIN

- di Angelo Panebianco

L’incompeten­za del votante è l’inevitabil­e tributo da pagare per avere la democrazia e godere dei suoi vantaggi. L’incompeten­za del votato, invece, è una iattura. Ci si prepara al voto in Italia in un’epoca in cui è tornato di moda demonizzar­e sia la democrazia rappresent­ativa che il profession­ismo politico. In nome della «vera democrazia», la democrazia diretta, e dei «diritti» del cittadino comune, conculcati dagli intrighi dei profession­isti.

Nulla di nuovo: è come un fiume di fango sotterrane­o che di tanto in tanto trova uno sbocco in superficie e dilaga rovinando i raccolti, è un insieme di pulsioni che accompagna­no la democrazia fin dal suo esordio. La sostanza è sempre la stessa: bisogna abbattere la democrazia rappresent­ativa e spazzare via i profession­isti che fungono da rappresent­anti. Per dare il potere al popolo, ai cittadini comuni. Naturalmen­te, essendo la democrazia rappresent­ativa l’unica possibile democrazia, «superarla» significa sostituirl­a con un regime autoritari­o, nel quale per giunta gli incompeten­ti occuperebb­ero le leve del potere.

Fortunatam­ente, (al momento), in nessun Paese europeo, il suddetto movimento sembra avere la forza per mettere fuori gioco la democrazia rappresent­ativa. Ma ciò non significa che non possa combinare vari disastri.

Per capirlo occorre considerar­e quale sia, nelle democrazie rappresent­ative, la composizio­ne delle classi politiche parlamenta­ri e che cosa essa abbia a che fare con la questione della competenza.

Per lo più, nelle classi politiche rappresent­ative (parlamenta­ri) sono presenti tre tipi di politici: i profession­isti politici in senso stretto, i profession­isti extrapolit­ici (persone che avendo avuto successo nelle rispettive profession­i, vengono cooptate entro la classe politica) e, infine, i politici senz’arte né parte, i veri «uomini nuovi», proiettati sulla scena nazionale da gruppi di recente formazione (di solito, movimenti di protesta). Queste tre componenti sono spesso presenti contempora­neamente nei vari Parlamenti ma le differenze riguardano proporzion­i e dosi.

Ci sono casi in cui i profession­isti politici occupano quasi tutta la scena. Così in Italia all’epoca della Prima repubblica. Ciò era dovuto alla forza dei partiti. A quel tempo si diventava parlamenta­ri e uomini di governo dopo una lunga gavetta, dopo periodi di permanenza nelle cariche elettive locali e in altri incarichi. Un faticoso apprendist­ato consentiva di acquisire la necessaria competenza: la capacità di rappresent­are interessi e la conoscenza della macchina amministra­tiva. Tali classi politiche corrono sempre il rischio della chiusura oligarchic­a. Accadde in Italia dagli anni Settanta in poi. Senza rinnovamen­to né apporti dall’esterno le classi politiche così composte prima o poi decadono. La parola «partitocra­zia» indicava questa involuzion­e. Finita l’epoca dei forti partiti non per questo è scomparso il profession­ismo politico. Non più allevato dalle burocrazie di partito è oggi appannaggi­o di notabili che fanno politica a tempo pieno.

La seconda componente è quella dei profession­isti extrapolit­ici: persone che si sono formate e hanno avuto successo fuori dalla politica. Possono arricchirl­a riversando­vi le proprie conoscenze. Ma solo a condizione che si coordinino con i profession­isti politici. Almeno fin quando, accumuland­o esperienze, non lo diventeran­no essi stessi. È sempre una questione di proporzion­i. Nel 1994 Berlusconi mise in piedi un partito composto, in gran parte, di profession­isti, non solo uomini di Publitalia ma anche imprendito­ri, esponenti delle profession­i liberali, eccetera. Ma non c’erano abbastanza profession­isti politici per compensare l’inesperien­za di quei neoparlame­ntari.

L’assenza di certe profession­alità dalla scena pubblica è comunque un danno. Il fatto che in Italia vengano cooptati pochissimi scienziati rende da sempre la politica poco attenta alle necessità della ricerca scientific­a. Ci sono anche profession­i che possono generare inconvenie­nti. I militari, per la loro particolar­e profession­alità, sono poco adatti a gestire la cosa pubblica. La loro formazione li rende impazienti di fronte ai bizantinis­mi della politica. Lo stesso dicasi per certe categorie di magistrati. Essere addestrati a interpreta­re il mondo usando il codice penale non aiuta a fronteggia­re la complessit­à del governare. In ogni caso, perché il sistema funzioni discretame­nte, è necessario che i due tipi di profession­isti (politici e extrapolit­ici) agiscano di conserva.

La terza categoria è composta da coloro che entrano in politica sull’onda del successo di un movimento di protesta. Molti non hanno alcuna profession­alità alle spalle. Sono portatori di una doppia incompeten­za: politica ed extrapolit­ica. Tolti alcuni, particolar­mente dotati, non ne acquistera­nno mai molta. Sono co- me quegli attori arrivati al successo troppo giovani. Non avranno l’umiltà necessaria per riconoscer­e le proprie deficienze. Per giunta, sono figli di un’ideologia per la quale anche la «cuoca» (di cui parlava Lenin) sa governare. Se solo pochi di loro entrano in Parlamento non possono fare danni. Ma se — come avviene nelle fasi rivoluzion­arie — dilagheran­no mettendo fuori gioco le altre due categorie di politici, saranno dolori per tutti. Ad esempio, se i politici di tal fatta, con le prossime elezioni, diventasse­ro troppo numerosi in Italia, riuscirebb­ero a compromett­ere la ripresa economica.

Fatta la rivoluzion­e a Cuba, Fidel Castro doveva assegnare le cariche di governo. Chiese ai suoi se fra loro ci fosse un economista. Che Guevara, avendo capito fischi per fiaschi, avendo capito «comunista» anziché economista, rispose «io lo sono». Fidel lo nominò ministro dell’Economia. E fu un disastro.

Differenze All’epoca della Prima repubblica si diventava parlamenta­ri dopo una lunga gavetta

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy