Rivolta in Iran, scontri e vittime
Continuano i cortei contro il regime, soprattutto in provincia Almeno 13 morti. Appello dell’Ue: garantire proteste pacifiche
Da ormai cinque giorni le proteste continuano in tutto l’Iran. Sono almeno 13 i morti, secondo fonti ufficiali. Ma il numero potrebbe essere più alto. Dopo i due manifestanti uccisi sabato a Dorud, nella provincia occidentale del Lorestan, altre vittime sono state confermate in zone del SudOvest del Paese, come Izeh, Tuyserkan, Shahinshahr, da cui è impossibile ottenere informazioni chiare e definitive. Gli unici report sono quelli della tv di Stato che parla di «manifestanti armati» che avrebbero cercato di prendere il controllo di basi militari e stazioni della polizia; la fonte alternativa sono i video, pubblicati su Telegram e altri social media, aggirando la censura. Si vedono manifestazioni pacifiche ma anche uffici pubblici assaltati, una banca data alle fiamme, auto capovolte e vetrine in frantumi. Almeno un poliziotto sarebbe stato ucciso e molti altri feriti.
Sono le proteste più ampie nella Repubblica Islamica dopo «l’Onda Verde» del 2009: scoppiate per motivi economici giovedì, sono esplose in slogan contro l’intero regime, dal presidente moderato Hassan Rouhani alla Guida Suprema Ali Khamenei.
In un discorso tv, Rouhani ha usato toni concilianti: ha riconosciuto la rabbia del popolo per l’economia in crisi e il desiderio che la società possa «aprirsi», ma ha avvertito che «violenze e attacchi contro la proprietà» non saranno tollerati. Oltre ai 400 arresti, da domenica le autorità hanno bloccato i social usati per organizzare le proteste. Ma alla fine la violenza della repressione dipenderà dai Guardiani della Rivoluzione, che rispondono a Khamenei, e minacciano il «pugno di ferro».
«Tempo di cambiare!», continua a twittare il presidente Usa Donald Trump esprimendo appoggio «al grande popolo iraniano» e lanciando frecciate all’accordo sul nucleare di Obama. Parole che «indicano un piano Usa in Iran», dichiarano le forze armate di Teheran. Ma molti iraniani diffidano di Trump, che rifiuta di certificare l’accordo sul nucleare e ha bloccato gli ingressi negli Usa. Su YouTube il premier israeliano Netanyahu (accusato di aver fomentato le proteste dal giornale «Kayhan» vicino alla Guida Suprema) ha rimproverato i governi europei che guardano la repressione «in silenzio». «Siamo in contatto con le autorità iraniane e ci aspettiamo che il diritto a manifestare pacificamente sia garantito», ha detto l’Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue, Federica Mogherini.
Le parole di Rouhani non hanno fermato i cori anti regime: a Teheran, blindatissima, ieri c’erano auto in fiamme. Ma gli scontri duri sono nelle province più remote, dove gli abitanti sono armati. Molti iraniani si aspettano che la rabbia della piazza sarà repressa, ma resterà viva come fuoco sotto la cenere, pronta a riesplodere.