Le ragazze in piazza senza politica
Nuova generazione di manifestanti, con quale scopo? «Non lo so e non m’importa. Odio questo sistema, voglio reagire»
Venticinque anni, laureata all’Università Azad di Teheran, disoccupata. Najya (nome inventato per motivi di sicurezza) è una di centinaia di giovani iraniani che, l’ultimo giorno dell’anno sono scesi in piazza contro il regime: una protesta senza leader e programma politico, che gli stessi intellettuali di opposizione faticano a capire. «La gente è arrabbiata per tutto: la povertà, l’inquinamento, i terremoti degli ultimi mesi — spiega la ragazza al
Corriere —. Le autorità credono che siamo ignoranti, ma qui nessuno si prende la responsabilità di nulla. La nostra pazienza ha un limite!». È la rabbia di una nuova generazione che non sa bene cosa vuole, ma è pronta a correre rischi. «Ho visto i poliziotti in moto colpire la gente sui marciapiedi in piazza Enghelab. Attaccavano in particolare noi donne — continua Najya — perché di solito ci muoviamo in gruppetti. Prendono di mira noi per spaventare tutti gli altri. Ero con le mie amiche, mi hanno picchiata con violenza».
Anche Delaram, 20 anni, allieva al Politecnico di Teheran, da sabato ha partecipato a tutte le manifestazioni, nonostante le manganellate. «A mezzogiorno ero all’Università di Teheran. C’era tanta gente per strada. Le forze speciali hanno circondato l’ateneo. Alcuni studenti gridavano “Morte al dittatore”. Dai veicoli neri della polizia antisommossa è arrivato il getto dei cannoni ad acqua. Non ci permettevano di fermarci davanti ai cancelli. Quando con un’amica ci siamo soffermate in un vicolo, un poliziotto in borghese sui trent’anni si è avvicinato. Fumava, grasso, con la barba, rozzo. “Cosa fate qui? Se vi vedo di nuovo, vi arresto”. Ma poi uno dei comandanti ha cominciato a colpire i manifestanti e ha picchiato anche me, forte, con un manganello. C’erano diversi feriti».
Non è un’«Onda Verde», lo dicono le stesse Najya e Delaram. Nell’estate del 2009, cinque milioni di persone marciarono nella capitale, pacificamente, protestando anche in silenzio, contro la controversa rielezione di Ahmadinejad. Oggi invece Teheran si ritrova più marginale rispetto a moti che scuotono anche piccoli centri in zone più remote e meno politicamente attive: in alcuni casi, nelle province di frontiera i manifestanti sono armati, in altre attaccano banche ed edifici governativi; le autorità hanno sparato sulla folla ma le informazioni faticano a filtrare.
Città o provincia, però, questa nuova generazione di manifestanti iraniani ha motivazioni simili. Quando chiediamo a Delaram cosa sperano di ottenere esattamente, la sua risposta è netta: «Non lo so e non mi interessa. Nel 2009, la gente aveva delle richieste specifiche, avevano un leader. Adesso consideriamo tutto problematico. Odio questo sistema e lo voglio cambiare. Voglio essere attiva, non indifferente». C’erano anche slogan di elogio al vecchio Scià Reza in piazza nei giorni passati, ma venivano gridati più per odio contro i mullah che per amore della monarchia. «Non voglio affatto che il re torni in Iran. Ma mi pento anche di aver votato per Rouhani. E Khatami, il riformista. perché ci dice sempre di votare ma ora resta in silenzio?».
Mentre il presidente moderato Hassan Rouhani cerca di placare questi giovani, assicurando che l’Iran avrà un’economia migliore e anche una società più aperta, i Guardiani della Rivoluzione e i basiji, braccio armato della Guida Suprema Ali Khamenei, avvertono che non lasceranno che le proteste continuino. «Ora hanno bloccato Telegram e Internet — dice Najya —. Ci sono moltissimi agenti in borghese che cooperano con Guardiani, ma sono indistinguibili dalla gente qualunque. In passato, era facile per via del loro aspetto (barba e anelli), ora vanno in giro in jeans». Si dice che istighino i manifestanti ad attaccare i negozi, per poi farli arrestare.
Ma le ragazze li affrontano. Aysan, 32 anni, studentessa di Letteratura, ha scelto per il suo account Twitter l’immagine di una giovane iraniana diventata un simbolo. Mercoledì scorso, prima dell’inizio delle proteste, aveva manifestato da sola togliendosi l’hijab e sventolandolo come una bandiera bianca in pieno centro a Teheran. Un gesto contro l’obbligo del velo. «Sapeva che l’avrebbero arrestata — ci dice l’attivista Masih Alinejad — ma non le importava».
All’Università C’erano Najya, 25 anni, laureata e disoccupata e Delaram, 20 anni, allieva del Politecnico I poliziotti hanno attaccato in particolare noi donne, perché di solito ci muoviamo in gruppetti: prendono di mira noi per spaventare gli altri. Mi hanno picchiata La gente è arrabbiata per tutto: la povertà, l’inquinamento, i terremoti. Qui nessuno si prende la responsabilità di nulla, la nostra pazienza ha un limite Hanno bloccato Telegram e Internet. Ci sono agenti ovunque, e non si distinguono dalla gente comune Prima portavano barba e anelli, ora i jeans Senza velo L’attivista Masih: la giovane senza velo sapeva che l’avrebbero arrestata, ma l’ha tolto