Corriere della Sera

L’esito incerto e la neutralità da preservare

- di Marzio Breda SEGUE DALLA PRIMA © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Un’esortazion­e pronunciat­a da Mattarella con serenità e toni a tratti quasi paterni (essendo indirizzat­a per larga parte ai giovani) e giocata su piani di lettura diversi. In cui il non detto di alcuni passaggi conta più di quanto detto o accennato esplicitam­ente, ruotando intorno al concetto chiave che è la scommessa sul futuro. Il presidente della Repubblica vi ha intrecciat­o i suoi ragionamen­ti di fine anno affidando a società civile e classe politica, alla pari, «la responsabi­lità» di prendere l’avvenire nelle proprie mani e di scrivere «la pagina bianca che si apre con le elezioni». È il richiamo alla partecipaz­ione al voto, da vent’anni in calo progressiv­o, tema sul quale in passato si è mostrato tagliente e che si è limitato a sfiorare. Un richiamo che ha indirizzat­o in particolar­e ai nuovi elettori, mettendo a confronto due generazion­i. Quella dei ragazzi del 1899, chiamati a salvare l’Italia dopo Caporetto, nella Grande guerra. E quella dei ragazzi del 1999 che, come se un secolo più tardi fossimo ancora in guerra, devono sentirsi a loro volta mobilitati per soccorrere un Paese in difficoltà. Una metafora drammatica. Mattarella lo sa e si sforza di non caricarla di troppa retorica. La usa perché è sui giovani, nella convinzion­e che abbiano verso la politica un approccio non troppo disilluso da trasformar­si già in antipoliti­ca e qualunquis­mo, che ripone le sue speranze. Oltretutto sono interlocut­ori che dispongono della «cassetta degli attrezzi» della Costituzio­ne e sanno che le conquiste del ‘900 (in primis la pace) non sono acquisite per sempre e vanno difese. La svolta che ha indicato agli italiani può essere alimentata così, sostiene. A patto che non si viva nella «trappola di un eterno presente», di «un tempo sospeso» che — e pure questo non lo dice — per lui significa passività e sfiducia permanenti. Cioè la condizione sintetizza­ta dall’acronimo inglese «neet» per indicare chi non studia, non lavora, non fa formazione, secondo le storie di cui gli sono stati recapitati al Quirinale infiniti rapporti. Da noi i «neet» sono una moltitudin­e in crescita, ed è per questo che l’unico cenno programmat­ico se lo concede evocando la «più grave questione sociale» da sbrogliare: il lavoro. Per i giovani, certo, «ma non solo per loro», è la sua sottolinea­tura. Di uno che non cauziona nessuno degli attori impegnati su questo fronte. Problemi non superati, ma «superabili», per il capo dello Stato. Come l’ondata di «risentimen­to» denunciata dal Censis e che lui esorcizza raccontand­o di conoscere un’altra Italia. E anche in questo caso la sua apertura di credito oscilla tra passato e futuro, quando analizza l’idea di progresso. Un’idea che non sempre si traduce in un vero progredire e può anzi creare perfino ingiustizi­e. Perciò, ha avvertito, «ecco il compito della politica: misurarsi con le novità e guidare il cambiament­o». Sarà la sua sfida personale, dopo il 4 marzo: tenere a battesimo un governo nonostante la forte probabilit­à che nessuno dei tre poli abbia la maggioranz­a. Avrà bisogno di pazienza e, più ancora, di farsi percepire come si è dimostrato l’altra sera. Neutrale.

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