L’esito incerto e la neutralità da preservare
Un’esortazione pronunciata da Mattarella con serenità e toni a tratti quasi paterni (essendo indirizzata per larga parte ai giovani) e giocata su piani di lettura diversi. In cui il non detto di alcuni passaggi conta più di quanto detto o accennato esplicitamente, ruotando intorno al concetto chiave che è la scommessa sul futuro. Il presidente della Repubblica vi ha intrecciato i suoi ragionamenti di fine anno affidando a società civile e classe politica, alla pari, «la responsabilità» di prendere l’avvenire nelle proprie mani e di scrivere «la pagina bianca che si apre con le elezioni». È il richiamo alla partecipazione al voto, da vent’anni in calo progressivo, tema sul quale in passato si è mostrato tagliente e che si è limitato a sfiorare. Un richiamo che ha indirizzato in particolare ai nuovi elettori, mettendo a confronto due generazioni. Quella dei ragazzi del 1899, chiamati a salvare l’Italia dopo Caporetto, nella Grande guerra. E quella dei ragazzi del 1999 che, come se un secolo più tardi fossimo ancora in guerra, devono sentirsi a loro volta mobilitati per soccorrere un Paese in difficoltà. Una metafora drammatica. Mattarella lo sa e si sforza di non caricarla di troppa retorica. La usa perché è sui giovani, nella convinzione che abbiano verso la politica un approccio non troppo disilluso da trasformarsi già in antipolitica e qualunquismo, che ripone le sue speranze. Oltretutto sono interlocutori che dispongono della «cassetta degli attrezzi» della Costituzione e sanno che le conquiste del ‘900 (in primis la pace) non sono acquisite per sempre e vanno difese. La svolta che ha indicato agli italiani può essere alimentata così, sostiene. A patto che non si viva nella «trappola di un eterno presente», di «un tempo sospeso» che — e pure questo non lo dice — per lui significa passività e sfiducia permanenti. Cioè la condizione sintetizzata dall’acronimo inglese «neet» per indicare chi non studia, non lavora, non fa formazione, secondo le storie di cui gli sono stati recapitati al Quirinale infiniti rapporti. Da noi i «neet» sono una moltitudine in crescita, ed è per questo che l’unico cenno programmatico se lo concede evocando la «più grave questione sociale» da sbrogliare: il lavoro. Per i giovani, certo, «ma non solo per loro», è la sua sottolineatura. Di uno che non cauziona nessuno degli attori impegnati su questo fronte. Problemi non superati, ma «superabili», per il capo dello Stato. Come l’ondata di «risentimento» denunciata dal Censis e che lui esorcizza raccontando di conoscere un’altra Italia. E anche in questo caso la sua apertura di credito oscilla tra passato e futuro, quando analizza l’idea di progresso. Un’idea che non sempre si traduce in un vero progredire e può anzi creare perfino ingiustizie. Perciò, ha avvertito, «ecco il compito della politica: misurarsi con le novità e guidare il cambiamento». Sarà la sua sfida personale, dopo il 4 marzo: tenere a battesimo un governo nonostante la forte probabilità che nessuno dei tre poli abbia la maggioranza. Avrà bisogno di pazienza e, più ancora, di farsi percepire come si è dimostrato l’altra sera. Neutrale.