Promesse elettorali alla prova dei fatti
Gli slogan della campagna assicurano meno tasse, più lavoro e welfare Ma non tutte le ricette sono sostenibili per i nostri conti
Luigi Di Maio, candidato premier dei 5 Stelle: «Il reddito di cittadinanza sarebbe sicuramente il primo atto che farei se diventassi premier». Silvio Berlusconi, leader di Forza Italia: «La nostra proposta è una flat tax, l’imposta piatta con un’aliquota unica per famiglie e imprese». Matteo Renzi, segretario del Pd: «Siamo passati da 22 a 23 milioni di posti di lavoro. Dobbiamo arrivare a 24». Matteo Salvini, numero uno della Lega: «Ci sono temi non negoziabili, come la cancellazione delle legge Fornero sulle pensioni».
E chi più ne ha più ne metta: una «misura shock per ridurre il costo del lavoro e poi rimoduleremo anche l’Irpef» (Di Maio); pensioni minime a mille euro (Berlusconi); nuovo bonus da 80 euro, questa volta per i figli a carico (Renzi); niente più Imu «sui negozi sfitti e sui fabbricati, piccole e medie imprese destinati alla produzione » (Salvini).
Forse nessuno dei 4 leader, alla fine, sarà presidente del Consiglio, visto il sistema proporzionale che spinge verso governi di coalizione e premier di mediazione. Ma saranno comunque questi i politici protagonisti della campagna elettorale.
E dunque è con i loro programmi che bisogna fare i conti. Programmi o promesse, magari irrealizzabili, come teme Sergio Mattarella? A vedere da vicino i programmi, i timori del presidente della Repubblica sono fondati. Soprattutto su un punto: come si finanzierebbe la realizzazione di questi annunci, senza mandare per aria i conti dello Stato?