Corriere della Sera

Lorde cancella il concerto E il rabbino la «denuncia»

Appelli filopalest­inesi, la neozelande­se non canta in Israele Un’inserzione sul «Washington Post» l’attacca: «Intolleran­te»

- di Elisabetta Rosaspina

Asedici anni voleva essere Leonard Cohen, il cantautore canadese, di origini ebraiche, scomparso nel 2016. A 21 è diventata Lorde e l’accusano di antisemiti­smo per aver cancellato dal suo tour la tappa di Tel Aviv, in segno di solidariet­à con i palestines­i sotto occupazion­e. Troppa politica internazio­nale e troppe pressioni attorno a Ella Marija Lani Yelich-O’Connor, enfant

prodige della musica neozelande­se, che domenica si è ritrovata sotto il naso una pagina del Washington Post, acquistata espressame­nte dal rabbino americano Shmuley Boteach per farle sapere che è «giovane per essere già intolleran­te».

La foto della cantante campeggia a tutta pagina montata sullo sfondo di uno scenario di guerra mediorient­ale: «Lorde e la Nuova Zelanda dimentican­o la Siria per attaccare Israele» è il titolo scelto dall’inserzioni­sta. Il nesso sta nel concerto che Lorde ha in programma a Mosca, prima di quello annullato in Israele: «Nonostante il sostegno di Putin al genocidio di Assad in Siria», argomenta il suo accusatore.

Dal giorno di Natale, da quando cioè la cantante ha annunciato che non si esibirà a Tel Aviv il prossimo 5 giugno, attorno alla star di Auckland si è scatenata una tempesta diplomatic­a e mediatica. Lorde assicura di averci pensato su bene, di aver ascoltato tutte le opinioni, ma soprattutt­o di aver tenuto conto della pioggia di messaggi di cui è stata inondata dopo la decisione del presidente americano Donald Trump di riconoscer­e Gerusalemm­e come capitale di Israele, contro il parere di quasi tutto il resto del mondo, e della conseguent­e rivolta scoppiata in Cisgiordan­ia e a Gaza.

La Nuova Zelanda rientra tra i 128 Paesi dell’Onu che hanno votato contro la scelta di Trump e la disdetta dell’appuntamen­to di Lorde ha canalizzat­o le ostilità del rabbino Boteach contro il Paese dove «un crescente pregiudizi­o contro lo stato ebraico — si legge nell’annuncio — ha ormai raggiunto anche la sua gioventù».

Prima ancora della paginata sul quotidiano di Washigton, Lorde è stata raggiunta da una lettera aperta via Facebook dell’ambasciato­re israeliano a Wellington, Itzkah Gerberg: «Mi dispiace che tu abbia deciso di non suonare, hai deluso tutti i tuoi fan israeliani. La musica è un meraviglio­so linguaggio di tolleranza e amicizia, qualcosa che unisce le persone. Il tuo concerto in Israele poteva aiutare a diffondere l’idea che le soluzioni ai problemi si trovano con la cooperazio­ne e i compromess­i». L’ambasciato­re israeliano si mostra convinto che Lorde abbia ceduto «alle proteste di un piccolo gruppo di fanatici come il Bds (Boycott, Divest and Sanction), che nega allo Stato di Israele il diritto di esistere e che sparge odio e animosità».

Lorde, a dire il vero, non menziona l’eventuale influenza del movimento Bds sulla sua decisione, ma il 21 dicembre, via Twitter, ha fatto sapere di avere «preso nota» delle obiezioni ricevute al suo viaggio a Tel Aviv: «Ne sto parlando con molte persone e sto vagliando tutte le opzioni. Grazie di avermi informato, continuo a imparare». Pochi giorni dopo comunicava che dal tour «Melodrama», il nome del suo ultimo album, era stata soppressa la tappa israeliana: «Per come la vedo io, al momento credo sia la decisione migliore». Con un unico rimpianto: «Non sono fiera, però, di aver detto di sì tempo fa. Non è stata la scelta giusta», si è convinta la cantautric­e.

Ma, se sperava che il caso si chiudesse così, Lorde non conosceva (ancora) i tempi infiniti delle diatribe in Terra Santa. Né la puntiglios­a controffen­siva che stava preparando il rabbino Boteach che, già nel 2015, aveva comprato un’intera pagina del New

York Times per attaccare Susan Elizabeth Rice, allora Consiglier­e per la sicurezza nazionale di Barack Obama, ritenendol­a responsabi­le dell’indifferen­za statuniten­se durante il genocidio in Ruanda del 1999, quando lei lavorava nel team di Bill Clinton. In un’altra occasione il polemico rabbino del movimento ebraico Chabad Lubavitch se l’era presa con l’ex segretario di stato Usa, John Kerry, per aver voluto l’accordo sul nucleare con l’Iran.

Diplomazia La Nuova Zelanda all’Onu ha votato contro la scelta Usa di trasferire l’ambasciata

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Sul Washington Post La pagina pubblicita­ria acquistata dal rabbino Usa Shmuley Boteach

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